ROMA Chiamatelo mister futuro. Futuro a tempo, dice l'accordo, ma poi chissà. Daniele De Rossi è uscito all'improvviso da Trigoria e allo stesso modo c'è rientrato.
CINQUE MESI E CHISSÀ
Nelle sue mani l'inizio dell'ennesima ricostruzione: l'accordo parla di una gestione tecnica fino a giugno. Dipenderà da lui, dalla Roma. Lui allenatore nell'anima, ma poco sul campo. Ma per quei colori si vincono tutte le paure, si azzarda, si scommette su se stessi. Del resto, questa, per Daniele è l'occasione con la maiuscola, non chiamiamolo traghettatore, non lo merita. Ora è lì, se la gioca: deve sostituire un totem come lo Special e lo farà anche lui da totem. Ha uno stipendio medio, ma con bonus Champions. Ci crede e sa che quella è la strada per prendersi la Roma più a lungo. De Rossi ha la testa, il fisico, la personalità, ma in panchina è stato solo 17 volte, con la Spal in B, e ha collaborato con Roberto Mancini alla vittoria dell'ultimo europeo. In serie A, quello di sabato con il Verona, sarebbe un battesimo. Contro la stessa squadra affrontata da Spalletti all'esordio della sua seconda avventura romana, sempre all'Olimpico. E questo non potrebbe essere teatro migliore per uno che in quello stadio ha vissuto, ha vinto, ha corso e pianto.
Poi ha studiato: i maestri sono eccellenti, da Capello a Spalletti, fino a Mancini e Conte. Ha studiato Guardiola, suo compagno di squadra nel 2002-2003, ha guardato De Zerbi, tecnico emergente. Si è messo tutto dentro, pronto a tirarlo fuori. Il suo è un calcio che possiamo solo scoprire, alla Spal ha cercato di adattarsi ai calciatori che aveva, proponendo una difesa a tre, che è la stessa che ritrova rodata (si fa per dire) nella Roma. Ma non è affatto escluso che entro poco tempo cambi genere. Sabato non avrà due guide importanti, Mancini (con cui non si è incrociato a Roma ma solo a Coverciano, in azzurro, come con Belotti) e Cristante, si affiderà alla fantasia di Dybala e alla forza di Lukaku, avversari vissuti in tante battaglie da calciatore, e ieri ritrovati in un abbraccio.
«FINITI GLI ALIBI»
Ieri è arrivato a Trigoria per dirigere l'allenamento del pomeriggio: ha ritrovato i suoi vecchi compagni come Cristante, appunto, Paredes, Pellegrini, Karsdorp ed El Shaarawy. Un lavoro tecnico, con la richiesta di un gioco «a palla veloce». Ha anche parlato alla squadra, davanti ai due Friedkin, al Ceo Souloukou. Pochi proclami, non è il tipo. «Sono finiti gli alibi», è il concetto generale espresso dalle parti. Si è presentato in punta di piedi, per lui conta il lavoro e il senso di appartenenza. «Bisogna dare tutti di più, lottare. Chi non lo fa, sta fuori». Ecco, questo è il trampolino, per tutti. La squadra è abbattuta, con molte assenze tra squalifiche e infortuni, c'è solo da rimboccarsi le maniche, pregare, tutti stretti intorno alla Roma. «Desidero ringraziare la famiglia Friedkin per avermi affidato la responsabilità della guida tecnica della Roma: da parte mia non conosco altra strada se non quella dell'applicazione, del sacrificio quotidiano e della necessità di dare tutto quello che ho dentro per affrontare le sfide che ci attendono da qui alla fine della stagione. L'emozione di poter sedere sulla nostra panchina è indescrivibile, tutti sanno cosa sia la Roma per me, ma il lavoro che attende tutti noi ha già preso il sopravvento. Non abbiamo tempo, né scelta: essere competitivi, lottare per i nostri obiettivi e provare a raggiungerli sono le uniche priorità che il mio staff ed io ci siamo dati», le parole di Daniele con un freddo comunicato distribuito dal club al momento dell'annuncio. Sguardi, voci, emozioni, ci verranno trasmesse venerdì, per la sua prima conferenza stampa da allenatore. Della Roma. La Roma di De Rossi, mister futuro (per ora a tempo).© RIPRODUZIONE RISERVATA