De Rossi, l'occasione unica di mister futuro, il primo discorso al gruppo: «Chi non dà tutto sta fuori»

Daniele nuovo tecnico al posto di Mourinho, ecco cosa ha detto a Trigoria: «Non c’è tempo né scelta: sacrificio e lavoro le priorità»

Mercoledì 17 Gennaio 2024 di Alessandro Angeloni
De Rossi, l'occasione unica di mister futuro, il primo discorso al gruppo: «Chi non dà tutto sta fuori»

ROMA Chiamatelo mister futuro. Futuro a tempo, dice l'accordo, ma poi chissà. Daniele De Rossi è uscito all'improvviso da Trigoria e allo stesso modo c'è rientrato.

Era il 26 maggio del 2019, sono passati 1696 giorni da quel tweet della Roma, che annunciava la separazione dal suo capitano. Una conferenza stampa struggente, la sua, davanti ai compagni di squadra, che avrebbe lasciato di lì a poco. Non ha accettato incarichi dirigenziali, si sentiva ancora calciatore, lo è stato per poco: l'esperienza al Boca Jr è stata breve ma intensa, più un'esperienza di vita. Roma ce l'ha nel cuore e lì è da sempre, da quando, bambino, ha cominciato a correre sui campi di Trigoria, che lo hanno sorretto come uomo, campione, capitano e ora, come tecnico, il cerchio si chiude. Era un ragazzino biondo quando Bruno Conti lo ha portato nella Roma, faceva l'attaccante, con poche reali qualità da bomber, assai meglio poi come centrocampista, anche come difensore centrale, spopolando per diciotto anni nella prima squadra della Roma (616 partite, il secondo più presente all time, e 63 reti) e con la Nazionale (117 partite, culminate con la vittoria del Mondiale in Germania nel 2006). Centrocampista e difensore, come Bryan Cristante oggi, quel Cristante che Daniele, il giorno dell'addio, aveva preso come esempio («in una squadra ce ne vorrebbero cento come lui») e ora potrà affidargli (non subito) le chiavi della Roma, del resto come aveva fatto Mourinho. De Rossi è rientrato a Trigoria da protagonista, con il peso di una responsabilità che da calciatore non aveva. Ieri ha dormito nel centro sportivo, non vuole perdere tempo.

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CINQUE MESI E CHISSÀ

Nelle sue mani l'inizio dell'ennesima ricostruzione: l'accordo parla di una gestione tecnica fino a giugno. Dipenderà da lui, dalla Roma. Lui allenatore nell'anima, ma poco sul campo. Ma per quei colori si vincono tutte le paure, si azzarda, si scommette su se stessi. Del resto, questa, per Daniele è l'occasione con la maiuscola, non chiamiamolo traghettatore, non lo merita. Ora è lì, se la gioca: deve sostituire un totem come lo Special e lo farà anche lui da totem. Ha uno stipendio medio, ma con bonus Champions. Ci crede e sa che quella è la strada per prendersi la Roma più a lungo. De Rossi ha la testa, il fisico, la personalità, ma in panchina è stato solo 17 volte, con la Spal in B, e ha collaborato con Roberto Mancini alla vittoria dell'ultimo europeo. In serie A, quello di sabato con il Verona, sarebbe un battesimo. Contro la stessa squadra affrontata da Spalletti all'esordio della sua seconda avventura romana, sempre all'Olimpico. E questo non potrebbe essere teatro migliore per uno che in quello stadio ha vissuto, ha vinto, ha corso e pianto.

 

Poi ha studiato: i maestri sono eccellenti, da Capello a Spalletti, fino a Mancini e Conte. Ha studiato Guardiola, suo compagno di squadra nel 2002-2003, ha guardato De Zerbi, tecnico emergente. Si è messo tutto dentro, pronto a tirarlo fuori. Il suo è un calcio che possiamo solo scoprire, alla Spal ha cercato di adattarsi ai calciatori che aveva, proponendo una difesa a tre, che è la stessa che ritrova rodata (si fa per dire) nella Roma. Ma non è affatto escluso che entro poco tempo cambi genere. Sabato non avrà due guide importanti, Mancini (con cui non si è incrociato a Roma ma solo a Coverciano, in azzurro, come con Belotti) e Cristante, si affiderà alla fantasia di Dybala e alla forza di Lukaku, avversari vissuti in tante battaglie da calciatore, e ieri ritrovati in un abbraccio.

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«FINITI GLI ALIBI»

Ieri è arrivato a Trigoria per dirigere l'allenamento del pomeriggio: ha ritrovato i suoi vecchi compagni come Cristante, appunto, Paredes, Pellegrini, Karsdorp ed El Shaarawy. Un lavoro tecnico, con la richiesta di un gioco «a palla veloce». Ha anche parlato alla squadra, davanti ai due Friedkin, al Ceo Souloukou. Pochi proclami, non è il tipo. «Sono finiti gli alibi», è il concetto generale espresso dalle parti. Si è presentato in punta di piedi, per lui conta il lavoro e il senso di appartenenza. «Bisogna dare tutti di più, lottare. Chi non lo fa, sta fuori». Ecco, questo è il trampolino, per tutti. La squadra è abbattuta, con molte assenze tra squalifiche e infortuni, c'è solo da rimboccarsi le maniche, pregare, tutti stretti intorno alla Roma. «Desidero ringraziare la famiglia Friedkin per avermi affidato la responsabilità della guida tecnica della Roma: da parte mia non conosco altra strada se non quella dell'applicazione, del sacrificio quotidiano e della necessità di dare tutto quello che ho dentro per affrontare le sfide che ci attendono da qui alla fine della stagione. L'emozione di poter sedere sulla nostra panchina è indescrivibile, tutti sanno cosa sia la Roma per me, ma il lavoro che attende tutti noi ha già preso il sopravvento. Non abbiamo tempo, né scelta: essere competitivi, lottare per i nostri obiettivi e provare a raggiungerli sono le uniche priorità che il mio staff ed io ci siamo dati», le parole di Daniele con un freddo comunicato distribuito dal club al momento dell'annuncio. Sguardi, voci, emozioni, ci verranno trasmesse venerdì, per la sua prima conferenza stampa da allenatore. Della Roma. La Roma di De Rossi, mister futuro (per ora a tempo).

Ultimo aggiornamento: 10:39
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