LA LETTERA
Cara Michela,
l’hai visto il film della Cortellesi? A me è piaciuto un sacco, proprio tanto, ci ho portato mia figlia, mio figlio no, non ha voluto venire, come il padre.
Lettera firmata
LA RISPOSTA
Certo che ho visto il film di Cortellesi, e ci ho vinto pure due cene: avevo scommesso che avrebbe incassato più di 20 milioni di euro, ne ha superati 35. Il suo successo, al netto del fatto che è un bellissimo film, ci racconta che abbiamo ancora bisogno di fare il punto sulla violenza, che sia fisica, psicologica o economica: cioè quella che mi pare il tema della tua storia. Cara Iva, porti il nome di una donna emancipata: indipendentemente delle sue convinzioni, che non sempre condivido, ha vissuto in modo indipendente, e ancora oggi è una donna che non ha paura di parlare, per esempio, di sessualità. Siamo la somma delle nostre esperienze, il risultato di una educazione sentimentale, emotiva, disciplinare, finanziaria: mi piacerebbe sapere da dove vieni, chi ha avuto cura di te, cosa ti ha trasmesso. Abbiamo la stessa età, mia cara Iva, ma i miei genitori erano così originali che scelsero per me il nome di mio nonno, Michele, e non quello di mia nonna Licia (che erano i nonni preferiti; gli altri, i secondi - c’è sempre una classifica familiare - si chiamavano Anna e a Attilio). Oddio, erano originali in tutto: da ragazza ho potuto viaggiare da sola, dormire col fidanzato nella mia stanza, leggere senza censure: mi raccontano che sotto il mio letto convivevano Jane Austen, il Corriere dei Piccoli e Malaparte. Ma comprendo, grazie a questo continuo confronto con voi, che spesso dò per scontati certi diritti che, per mia fortuna, mi sono stati insegnati. Mia madre, quando ho iniziato a lavorare, mi costrinse ad aprire un conto in banca, facendomi promettere che non avrei mai accettato di dipendere da un uomo. L’ho fatto. Sono stata fortunata a nascere al centro del mondo, in una casa borghese sulle mura Vaticane, da genitori progressisti: mi trattavano quasi come un maschio, non fosse stato per alcune legittime paure. Una volta, pur avendo il divieto di andare in motorino, scappai al mare col mio ragazzo, con la sua Vespa che pensò bene di rompersi nottetempo in un’era in cui si sopravviveva a gettoni e cabine telefoniche che, sull’Aurelia negli anni 80, scarseggiavano. Arrivai a casa all’alba: fui accolta con un civilissimo trattamento del silenzio, per altro meritato. All’epoca non si provava a cambiare la società, ci si proteggeva da quella che c’era. Eppure niente ha protetto te che hai vissuto nel mio stesso tempo, nella mia stessa città. Forse ci siamo incontrate sulla metropolitana, o alle bancarelle di Piazzale Flaminio, che anche io adoro: forse abbiamo comprato lo stesso vestito, sentito la stessa canzone, bevuto lo stesso caffè. Io sono stata fortunata e ora ho bisogno che tu riconosca il tuo valore e il tuo diritto a gestire i tuoi soldi frutto del tuo lavoro. Altrimenti della mia fortuna non ci faccio niente. Dovresti tenerlo tutto, il tuo stipendio. Ma soprattutto, non dovresti più sentirti in colpa qualsiasi cosa tu decida di farne, fosse anche comprare tutta la bancarella. Mi spiace che tuo marito e tuo figlio non siano venuti al cinema con te. La prossima volta, compra loro il biglietto. In regalo. Con i tuoi soldi. E magari ci vedremo in sala, con lo stesso vestito, un Iban per ciascuna.