BATTAGLIA TERME (PADOVA) - Pareti dell'800 che si sono spogliate per ritrovare il colore degli affreschi originari. Intonaci che si sono lasciati scoprire fino a fare emergere il 500 euganeo. Ambienti che pensavano di non avere più nessuno da ospitare ed un intero piano che sembrava non farsi più calpestare. Un apparente destino stravolto dall'incredibile opera di restauro durata oltre due anni, definitivamente fruibile a tutti da sabato prossimo, con l'enigmatico titolo "Il Catajo mai visto".
Il restauro dell'intero piano
«È l'apertura di un piano rimasto chiuso per oltre un secolo, che riporterà agli antichi fasti le stanze private degli arciduchi Asburgo Este e gli affreschi ritrovati - scioglie l'enigma il proprietario della residenza storica di Battaglia Terme, Sergio Cervellin - Il castello raddoppia così il numero degli ambienti interni visitabili, grazie a dieci nuovi saloni realizzati nel Cinquecento dagli Obizzi, costruttori e primi proprietari, poi ristrutturate nel 1820 dalla famiglia Asburgo Este, arciduchi di Modena. Un lavoro che è stato un continuo dialogo con la Soprintendenza, per scoprire in ogni stanza qualche metro quadro in più e riportare in vita quanto coperto da mani grezze». Un'operazione che per la famiglia Cervellin ha avuto un costo iniziale di 2 milioni e mezzo «che andava a crescere ad ogni nuovo ritrovamento che svelava la poetica atmosfera del tempo. D'altronde le travi che sostengono i solai stavano cedendo, quindi abbiamo sistemato un ambiente che neanche conoscevamo per poi scoprirne gli affreschi di Marino Urbani che raccontano i paesaggi del tempo», svela il proprietario orgoglioso di aver mantenuto fede alla parola data nel 2016 di rendere il Catajo un bene culturale a disposizione della popolazione.
Affreschi e scale e chiocciola
Al suo fianco il direttore Marco Moressa e l'architetto Cristiano Paro dello studio P4 che ha restaurato le stanze pur mantenendo l'intimità degli spazi familiari dell'epoca: camere da letto, sala da pranzo con il servizio da tavola di antiche ceramiche d'Este, sala della musica con un fortepiano di metà Ottocento, sala da gioco, come abitate da Francesco IV e Maria Beatrice di Savoia nei sei mesi estivi e dalle quali poi l'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo partì per Sarajevo.
Il futuro
A rimanere incantato è lo stesso professor Fernando Rigon, il maggiore storico dell'arte delle Ville Venete, impressionato «dalle stanze private di questa dimora estiva, che ricreano un museo d'ambiente in cui si rivede l'atmosfera dell'epoca». «Nel futuro potrebbero esserci nuove stanze da aprire - svela Cervellin - Confidiamo di fare ancora molto perché sappiamo già cosa c'è sotto altri intonaci». Al castello di questa favola, ancora non si può scrivere la parola fine.