Non c’è dubbio che «Putin non avrà rivali alle prossime elezioni» come dichiarava il portavoce del Cremlino Peskov a fine ottobre.
Navalny, il dissidente russo Khodorkovsky: «Vladimir Putin è senza alcun dubbio responsabile»
CASI ECLATANTI
L’ultimo (o penultimo) caso più eclatante, quello di un ex amico diventato nemico, è stato Evgenij Prigozhin, capo della compagnia mercenaria Wagner e reo di “tradimento” dopo la fallita marcia su Mosca contro i vertici della Difesa nel giugno 2023, morto due mesi dopo per lo schianto del suo jet privato. Risalendo indietro nel tempo, però, i primi omicidi politici riconducibili al Cremlino seguivano tutt’altro stile. Tanti i misteri. Il deputato liberale Sergei Yushenkov fu ucciso ad aprile del 2003 con un singolo colpo di pistola al petto poco dopo aver registrato il suo partito politico per partecipare alle elezioni parlamentari del 2003. Anni prima Yushenkov denunciava il bombardamento di alcuni edifici residenziali a Mosca come parte di un presunto golpe organizzato dai servizi segreti per portare al potere Putin, allora ex agente del Kgb, e giustificare così l’aggressione contro la Cecenia. Molti politici, compresi esponenti del Partito comunista, accusarono Putin di essere il mandante. Nel 2004, Paul Klebnikov, redattore capo dell’edizione russa di Forbes fu ucciso in una sparatoria contro la sua auto, in un apparente omicidio su commissione che, secondo il Committee to Protect Journalists, è riconducibile all’oligarca Boris Berezovsky, alleato di Putin, cofondatore del suo partito Russia unita e definito dallo stesso Klebnikov «padrino del Cremlino». Due anni dopo, nel 2006 l’ex spia Alexander Litvinenko morì avvelenato da polonio-210 a Londra. Poco prima, Litvinenko aveva rivelato ai giornalisti che un laboratorio segreto del Kgb a Mosca, poi gestito dal Fsb, era specializzato nello studio dei veleni. Nel 2021, la Corte europea dei diritti umani riconobbe lo Stato russo colpevole. Sempre nel 2006, la critica severa alla guerra in Cecenia del celeberrimo “La Russia di Putin” segnò la condanna a morte della giornalista di Novaya Gazeta, Anna Politkovskaya, freddata con un proiettile alla testa mentre rincasava nel giorno del compleanno del leader russo. Nel 2015, un ex insider del cerchio magico di Putin e un tempo protagonista della sua ascesa al potere, Mikhail Lesin, fondatore della rete televisiva in lingua inglese RT, fu ritrovato senza vita in una stanza d’albergo a Washington DC, dopo esser stato licenziato dall’influente apparato mediatico del Cremlino. Secondo l’autopsia statunitense, la morte fu causata da «ferite da corpo contundente» e non da attacco cardiaco, come allora riferirono i media statali russi. Lo stesso anno, Boris Nemtsov, leader dell’opposizione considerato all’epoca il più quotato rivale di Putin e forte contestatore dell’invasione russa dell’Ucraina del 2014 fu ucciso a due passi dal Cremlino con quattro colpi di pistola alla schiena.
GLI ARRESTI
Chi fra gli oppositori è ancora vivo, si trova in prigione o è stato costretto all’esilio. Finito più volte dietro le sbarre, ad esempio, è Ilya Yashin, ex consigliere di un municipio di Mosca. O Vladimir Kara-Murza, giornalista e attivista, vittima per due volte di avvelenamento e ora condannato a 25 anni di carcere per le sue critiche all’invasione russa dell’Ucraina. In esilio, invece, gravita una galassia di oppositori spesso in lotta fra loro per la leadership del dopo-Putin. Come Denis Kapustin, attivista neonazista e capo del Corpo dei Volontari russi, e Il’ja Ponomarev, capo politico della legione Freedom of Russia, due unità militari russe che combattono in Ucraina a fianco di Kiev. O Mikhail Khodorkovsky, imprenditore e oligarca ora a Londra, e Maxim Galkin, noto comico e showman ora in Israele. Già il voto plebiscitario che Putin facilmente otterrà il 17 marzo avrebbe segnalato ai potenziali infedeli dentro le élite che è inutile mettersi contro di lui. Evidentemente, però, non bastava.