Letta e la Difesa europea: «Dipendiamo dall’estero»

Giovedì 18 Aprile 2024 di Gabriele Rosana
Letta e la Difesa europea: «Dipendiamo dall’estero»

«È l'ultima finestra di opportunità per agire insieme». Dopo il «cambiamento radicale» immaginato da Mario Draghi, un altro ex premier italiano, Enrico Letta, suona la sveglia ai governi Ue alle prese con il rompicapo su come evitare di finire schiacciati nella sfida globale tra Cina e Stati Uniti.

La risposta? L'Ue deve dotarsi di «una politica industriale comune, che non è la somma delle 27 esistenti. La dimensione conta».

L'ALLARME

L'Europa che va in ordine sparso e che non riesce a superare la frammentazione, del resto, ha implicazioni molto concrete. Basti guardare all'industria della difesa: secondo Letta, «dobbiamo ampliare gli investimenti, altrimenti continueremo con questa vergogna del 78% di forniture militari che non sono prodotte in Europa, ma che noi compriamo (dall'estero, ndr) con i soldi dei contributori europei».

Un'ipotesi, evocata da Estonia, Francia e Polonia, è quella di fare debito comune, non solo per aumentare la spesa militare, ma per farlo acquistare equipaggiamenti “made in Europe”. Una sorta di Recovery per le armi da mettere insieme attraverso Eurobond «rispetto al quale il dibattito prosegue», in assenza di un accordo tra i 27, ha avvertito il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, ieri in conferenza stampa accanto a Letta. L'ex inquilino di palazzo Chigi ha ricevuto dal Belgio, al timone semestrale del Consiglio dell'Ue, l'incarico di redigere un rapporto sul futuro del mercato unico europeo a oltre 30 anni dalla sua creazione.

Predisposto in otto mesi e alla luce di 400 incontri e migliaia di colloqui in giro per tutta Europa, l'ex segretario Pd, che è un capo del centro di ricerca intitolato a Jacques Delors, lo presenterà oggi ai leader dei 27 riuniti a Bruxelles per la seconda giornata di un summit straordinario, l'ultima prima del voto di giugno. Il suo è un testo parallelo e complementare a quello sulla competitività industriale a cui sta ancora lavorando, invece, Draghi, su incarico della Commissione, e che sarà chiuso solo dopo il voto Ue.

In alcuni casi, però, le conclusioni a cui arrivano i due sono simili. Ad esempio sulla necessità di mobilitare i risparmi privati ​​per rispondere alle sfide con cui deve fare i conti l'Ue e finanziare così, «insieme agli investimenti pubblici europei e agli aiuti di Stato», le priorità comuni, dalla transizione verde e digitale alle spese per la sicurezza. «300 miliardi di euro lasciano l'Europa ogni anno, calcola la Bce, per fluire verso gli Stati Uniti», dove trovano un ambiente più favorevole e occasioni di investimento e rendimenti interessanti che mancano nel continente, ha suonato l'allarme Letta. Sono risorse che l'Ue dovrebbe trattenere nel continente, attirandone al tempo stesso di nuove dall'estero, si legge nel report. La soluzione è nel completamento «dell'unione del mercato dei capitali, la migliore risposta» Ue agli imponenti fondi dell'Inflation Reduction Act (Ira) americano, ha affermato Michel.

Dossier in stallo da più di un decennio, una maggiore integrazione del mercato dei servizi finanziari Ue è un tema che fa mancare, per ora, il consenso puro sulla formulazione delle conclusioni finali del vertice da adottare oggi (una dozzina di Paesi non sono convinti dell 'accelerazione), ma Michel è determinato a rimuovere momentaneamente il tema dal tavolo dei ministri delle Finanze e dei loro tecnici per metterlo su quello dei leader. E ciò anche per approfittare di un'apertura di credito arrivata dal cancelliere tedesco Olaf Scholz (ma non dal suo guardiano dei conti p ubblici , il falco Christian Lindner), dopo il blitz della Francia che ha proposto di andare avanti con chi ci sta.

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LE DIVISIONI

A stare di traverso, poi, so no quei Paesi con piazze finanziarie la cui attrattività ha, finora, beneficiato dall'assenza di regole comuni: capofila è il Lussemburgo, spalleggiato da Irlanda e Paesi Bassi. Nelle 147 pagine di testo, Letta guarda anche ad altri ambiti in cui l'Ue deve passare dalla competizione interna a un più deciso consolidamento industriale, come il mercato delle telecomunicazioni, ma abbozza puri interventi infrastrutturali ad alto valore simbolico, come il collegamento di tutte le capitali Ue che non sono su un'isola con treni ad alta velocità. E visto che Bruxelles è, tradizionalmente, un “rapportificio”, «il mio peggior incubo - ha confessato - è che questo report finisce in un cassetto», che cioè non si traduca in azioni immediate. Un po' come accaduto ad almeno due altri rapporti scritti dal suo immediato predecessore a palazzo Chigi, Mario Monti, nel 2010 e nel 2016. «Ma adesso la situazione è tale che non possiamo più permetterci di aspettare».

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