Alessia Pifferi, chi è la mamma condannata all'ergastolo per la morte di stenti della figlia di 18 mesi. La vicenda

Lunedì 13 Maggio 2024
Alessia Pifferi, condannata all'ergastolo per la morte della figlia di sei mesi. La ricostruzione: dal weekend fuori alla perizia psichiatrica

È arrivata la condanna all'ergastolo per Alessia Pifferi, la 38enne arrestata nel luglio del 2022 per aver lasciato morire di stenti la piccola figlia Diana di soli 18 mesi, avendola abbandonata in casa da sola per sei giorni. Lo ha deciso oggi la Corte di Assise di Milano. 

Il pm di Milano Francesco De Tommasi aveva chiesto per questa condanna per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, dai motivi abietti e futili e dal fatto di aver ucciso la figlia.

Dopo cinque ore di requisitoria il rappresentante della pubblica accusa, lo scorso mese, ha tirato le file e ha sottolineato “l’intenzione” dell’imputata che «lascia solo la figlia per sei lunghissimi giorni» e se hai 18 mesi «l’unica persona su cui puoi contare è tua madre». Per il pm Alessia Pifferi «non ha mai mostrato segni di pentimenti, non si è mai assunta la sua responsabilità per quello che ha fatto, ha assunto un atteggiamento finalizzato esclusivamente a scrollarsi di dosso la sua responsabilità lei che non consentito alla figlia di farsi la sua vita». 

La ricostruzione

La donna abitava con la sua bambina nella zona di Ponte Lambro, vicino all'aeroporto di Linate a Milano. La piccola Diana era nata il 29 gennaio 2021, ma la madre non era consapevole della sua gravidanza e tantomeno di chi potesse essere il padre. Il 14 luglio 2022, la donna si recò a Leffe, in provincia di Bergamo, per alcuni giorni nella casa del suo compagno, lasciando la bambina da sola a casa con «due biberon di latte, due bottiglie d'acqua e una di tisana». Al fidanzato aveva detto di aver affidato Diana a sua sorella, mentre ai magistrati spiegò che aveva pianificato di assentarsi solo per un giorno. Durante il primo interrogatorio, ammise di aver già lasciato la bambina sola in casa per interi weekend, da venerdì a lunedì: «L'ho lasciata sola solo poche volte, non ricordo quante. Ero preoccupata di lasciarla, quindi le lasciavo due biberon di latte e due bottiglie d'acqua. Avevo molte paure, incluso se fosse stata in grado di bere, ma pensavo che il latte fosse sufficiente». Quella volta tornò a casa solo il 20 luglio, sei giorni dopo la partenza. 

La tragedia

In tribunale, raccontò che al suo ritorno vide che Diana era immobile: «Ho provato a rianimarla, le ho fatto il massaggio cardiaco, l'ho portata in bagno per bagnare i suoi piedini, le mani, il viso e la testa sperando che si riprendesse. Il pannolino era sul letto. Corsi dalla vicina, ma non c'era nessuno nel cortile così mi diressi di fronte a casa mia. Quando vidi la bambina, andai in panico, tremai e iniziai a piangere. Chiamai il 118 e un uomo che frequentavo in quel periodo, ma lui non venne. L'autopsia sul corpo della bambina ha ricondotto il decesso alla disidratazione della piccola. Inizialmente, analizzando un campione di capello, sembrava che la piccola avesse assunto benzodiazepine, e sul comodino fu trovata una boccetta di En. Tuttavia, ulteriori analisi rivelarono che non vi erano "composti di interesse tossicologico" nella bottiglia d'acqua e nel biberon lasciati da Alessia. L'analisi del capello aveva identificato solo una possibile contaminazione con i farmaci utilizzati dalla madre.

La perizia psichiatrica

Lo scorso mese, l'avvocato Alessia Pontenani ha provato a basare la strategia difensiva su una perizia psichiatrica secondo cui la Pifferi sarebbe stata già seguita tra i 6 e gli 11 anni dai servizi di neuropsichiatria infantile territoriale e aveva avuto già «una diagnosi funzionale di turbe psichiche e gravi ritardi cognitivi», certificata «da una cartella clinica che abbiamo recuperato grazie al Policlinico». Di conseguenza, è stata richiesta ai giudici un'integrazione della perizia psichiatrica, che aveva già certificato la capacità di intendere e volere della donna. La difesa ha puntato a ribaltarne l'esito e a dimostrare il grave deficit cognitivo di cui la 38enne avrebbe sofferto fin da bambina: è stato proprio in quel pomeriggio che il pm di Milano Francesco De Tommasi, da sempre contrario alla perizia psichiatrica, ha chiesto la condanna della donna all'ergastolo.

 

Le ultime dichiarazioni in aula della Pifferi

«Voglio dire davanti a tutta Italia che non ho mai voluto far del male a mia figlia, non l'ho uccisa, non mi è mai passato per la mente di uccidere mia figlia, non è stata una cosa premeditata». Sono le parole pronunciate spontaneamente da Alessia Pifferi nell'aula del processo a Milano, prima della requisitoria del pm. «Non sono un assassino o un mostro, ma sono solo una mamma che ha perso la sua bambina, mai ho pensato che potesse accadere una roba del genere alla mia bambina». E ancora: «Non c'è minuto o giorno in cui non penso a mia figlia Diana, non ho mai negato a mia sorella di vederla. Diana è venuta al mondo all'improvviso, non sapevo di essere incinta, l'ho accettata è stata il regalo più bello che la vita potesse regalarmi». Per quanto riguarda la sua salute mentale: «I miei familiari sapevano delle problematiche che avevo ma non mi hanno mai detto nulla, se crescendo me ne avessero parlato non so che metodo di cura avrei potuto fare ma mi sarei curata e penso che oggi sarei ancora con Diana e non ci troveremmo in questa situazione drammatica» aggiunge nel suo intervento durato circa dieci minuti. «Sto già pagando il mio ergastolo avendo perso la mia bambina».  

L'infanzia difficile

Pifferi nelle sue lunghe dichiarazioni è partita dall'«infanzia di bambina sempre isolata, senza amici» con «l'insegnante di sostegno» e ha parlato del padre che «aveva un carattere violento e spesso picchiava anche mia mamma e io assistevo a queste sceneggiate e ho subito - ha aggiunto - anche un abuso sessuale verso i 10 anni, ma non l'ho mai detto alla mia famiglia perché temevo di non essere creduta». Ha fatto anche il nome della persona che avrebbe abusato di lei. «Mi hanno tolto da scuola mentre frequentavo un corso di operatrice sanitaria, perché dovevo accudire mia madre che stava male». E ancora: «Io vivevo con pochissimi soldi. Tutti gli uomini che ho avuto mi prendevano in giro e giocavano con me». 

Ultimo aggiornamento: 17:01 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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