Statali, stipendi bassi e scarsa innovazione: fuga dal posto fisso. Ecco perché la Pa non attira più i giovani

Soltanto nei ministeri persi 40 mila dipendenti

Sabato 18 Maggio 2024 di Andrea Bassi
Statali, stipendi bassi e scarsa innovazione: fuga dal posto fisso. Ecco perché la Pa non attira più i giovani

Qualche giorno fa, il Capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Russo, ha preso carta e penna e ha scritto ai suoi colleghi delle altre forze di Polizia.

Il senso della lettera è che le carceri si stanno svuotando, non dei detenuti ma delle guardie. Così ha messo sul tavolo una proposta: facciamo lavorare più a lungo chi è già in servizio.

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Statali, fuga dal posto fisso

In che modo? Portando l’età della pensione, che per le Forze di Polizia è di 60 anni, a 62 anni. Su base volontaria certo, come già fatto per i medici e proposto anche per gli infermieri. Ma in un Paese che deve tenere guardie e poliziotti ultrasessantenni per strada o nelle carceri, dovrebbe scattare un campanello d’allarme. Gli uffici pubblici si sono svuotati. Basta leggere l’ultimo conto annuale del Pubblico impiego appena pubblicato dalla Ragioneria generale dello Stato.

Posti persi nei ministeri

Solo i ministeri hanno perso 40 mila dipendenti, uno ogni tre. Nei Comuni la perdita è stata di sessantamila addetti, seimila l’anno. L’esercito da 190 mila militari viaggia veloce verso i 150 mila. Solo la scuola ha visto crescere le assunzioni e il personale è passato da poco più di un milione a quasi 1,2 milioni di dipendenti. Tutte queste tendenze non sono iniziate oggi. È il frutto di un decennio di blocco del turn over. Il pubblico impiego è quello che più ha pagato dazio alle politiche di austerity dell’inizio dello scorso decennio. Non sono state bloccate solo le assunzioni. Sono stati congelati i contratti e persino ritardato il pagamento delle liquidazioni. E ci sono volute le sentenze della Corte Costituzionale per far ripartire gli stipendi.

Il passaggio

Qualcosa ora in realtà si sta muovendo. Secondo le stime della Ragioneria, alla fine dello scorso anno, dopo un decennio di decrescita infelice, per la prima volta il personale pubblico è tornato ad aumentare. Poco meno di 50 mila dipendenti in più su un totale di 3,2 milioni. Ma è abbastanza per segnare una svolta? Dei passi avanti, va riconosciuto, sono stati fatti. Con l’arrivo del Pnrr, il Piano di ripresa e resilienza, la riforma della Pubblica amministrazione è stata fissata come uno degli obiettivi prioritari. Renato Brunetta prima, e Paolo Zangrillo poi, hanno profondamente riformato il lavoro pubblico, dai concorsi fino alle assunzioni, passando per le carriere. È bastato? Non del tutto, se è vero, ed è una dato contenuto sempre nella Relazione della Ragioneria, che l’età media dei pubblici dipendenti resta vicinissima ai 50 anni.

I giovani

I giovani, soprattutto quelli più qualificati, hanno difficoltà oggi a vedere la Pubblica amministrazione come uno sbocco. Ci sono lavori pubblici che nessuno vuole fare più. Gli esempi si sprecano. Prendiamo gli ispettori del lavoro. I posti messi a concorso sono stati coperti solo per la metà. Un altro fronte è quello dei sindaci, che hanno problemi serissimi a completare gli organici. La testimonianza più recente sta nell’atto di indirizzo per gli enti locali, il documento alla base del rinnovo del contratto di lavoro. Gli assessori chiedono che il negoziato metta fine all’emorragia di dipendenti e renda più “attraente” per i giovani il lavoro nei municipi. Come un contratto di lavoro che prevede un aumento già deciso e uguale per tutti del 5,78% degli stipendi possa centrare questi obiettivi resta un mistero. 

Le eccezioni

Non è vero, però, che tutta la Pubblica amministrazione non è attrattiva. Ci sono alcuni posti che sono “ambiti”, anche dai giovani. L’Agenzia delle Entrate, le Dogane, l’Inps. Le ragioni sono varie. La prima è che sono percepite come amministrazioni “moderne”, dove c’è una cultura digitale, si utilizzano le nuove tecnologie e già è stata introdotta l’intelligenza artificiale. Ma c’è anche un altro motivo: pagano meglio. Ancora una volta vale la pena leggere con attenzione i dati del Conto annuale della Ragioneria.

Gli stipendi

I funzionari dell’Agenzia guadagnano in media 42 mila euro lordi l’anno, i dirigenti di seconda fascia 110 mila euro e quelli di prima fascia 232 mila euro. Nel 2013, dieci anni fa, un funzionario dell’Agenzia guadagnava 35 mila euro. Lo stipendio medio del personale non dirigente dei Comuni e delle Regioni è di 30 mila euro, quello di un dirigente di seconda fascia di 88 mila euro e quello di una prima fascia di 107 mila euro. Dieci anni fa, nel 2013, la retribuzione media di un dipendente comunale o regionale era di 28 mila euro. Nei ministeri la retribuzione media dei dipendenti è di 34 mila euro, dieci anni fa era di 28 mila euro.

Cosa stanno determinando queste differenze di retribuzione? Una partecipazione massiccia dei dipendenti comunali ai concorsi dell’Agenzia delle Entrate e dell’Inps. Una sorta di cannibalizzazione di dipendenti all’interno della stessa pubblica amministrazione (in 40 mila hanno cambiato amministrazione). E non è un problema che riguarda solo i Comuni. Se ne stanno andando anche i cancellieri dai Tribunali. L’inaugurazione dell’anno giudiziario quest’anno, è stato un pianto greco da parte dei presidenti dei Tribunali.

Le previsioni

Nella relazione della Corte di Torino si è messo nero su bianco il timore che il concorso a 4 mila posti dell’Agenzia delle Entrate avrebbe potuto svuotare gli uffici. Le previsioni del Conto annuale del Tesoro, dicono che i dipendenti degli Enti pubblici non economici come l’Inps e l’Inail aumenteranno di quasi il 10 per cento, quelli dell’Agenzia delle Entrate del 5 per cento. I Comuni, invece, perderanno un altro 1 per cento dei propri dipendenti. È un cane che si morde la coda. Meno dipendenti significa più carichi di lavoro per quelli che ci sono. Secondo i Piao, i Piani integrati delle amministrazioni, le scoperture medie nelle amministrazioni nelle piante organiche sono del 30 per cento. Significa che manca un lavoratore su tre e che, dunque, gli altri due devono svolgere anche i compiti di quello che non c’è. E spesso gli altri due sono lavoratori ad un passo dalla pensione. 


Che le assunzioni dopo anni di blocco del turn over siano riprese è comunque un fatto. Il ministro Zangrillo anche ieri ha confermato che quest’anno, come il prossimo, ci saranno 170 mila nuove assunzioni. Si tratta comunque di un rapporto di uno a uno. Significa che per un lavoratore che va in pensione ne entra uno nuovo. Il problema è che dopo il “decennio perduto” del pubblico impiego, sostituire solo chi va in pensione non risolverà il problema della carenza degli organici. Renato Brunetta quando era ministro del governo Draghi aveva fissato un’asticella: riportare i dipendenti pubblici a quota 4 milioni entro il 2028. Un obiettivo che non sembra alla portata senza un piano straordinario di assunzioni. E soprattutto senza un piano che possa far diventare di nuovo attrattive per i giovani, quelle amministrazioni che hanno perso appeal. 

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