Molti anni fa, in gioventù, avevo un amico che cercava di imporsi come giornalista: non ebbe in realtà grandi successi e a un certo punto pensò bene di avviare nella costa romagnola una fiorente azienda di affitti-pedalò. Era originario di Spinea, una ridente frazione della provincia veneziana, che secondo lui non godeva di sufficiente considerazione a causa del suo nome che terminava con due vocali, una combinazione che foneticamente non ottiene consenso (così pensava...). Decise quindi di intervenire e cominciò a far stampare sui suoi biglietti da visita, su tutte le citazioni di indirizzo e sui (rari) articoli che riusciva a collocare in qualche giornale locale, il nome di Spinea riveduto e corretto in una forma “italianizzata”: Spinella. Si può immaginare come andò a finire (appunto sui pedalò). Ma il vezzo di intervenire brutalmente per modificare i nomi resta uno dei più praticati. Non sto a ripetere esempi già citati tante volte di parole dedicate a insegne o manifesti in dialetto veneziano che nella grafia odierna risultano in un nuovo dialetto ve-mestrino con riferimenti puramente vaghegggiati. In questi giorni in cui Venezia risulta al centro dell’attenzione mondiale per una serie di appuntamenti internazionali di grandissimo prestigio, dal G20 alle sfilate di alta moda promosse da Yves Saint Laurent alla Certosa e da Valentino all’Arsenale (per non dire di altre in programma che porteranno la città a quel livello di promozione che le è più congeniale), abbiamo assistito al tentativo di raddoppiare consonanti immaginando così di rendere più importante una parola. E’ il caso di “gagiandre” , il termine veneziano che dà il nome a quell’area dell’Arsenale dove si svolgono molti eventi - soprattutto a cura della Biennale di Venezia - e dove il 15 luglio si svolgerà il defilè d’alta moda “Valentino des Ateliers”, improvvisamente apparso con due g (Gaggiandre) forse per renderlo più importante come accadeva a quel mio amico giornalista d’amtan. “Gagiandra” è un termine che non esiste in italiano, non lo si può trovare in alcun dizionario della nostra lingua, ma esiste eccome in veneziano (il dialetto che per secoli fu una lingua dotata di fior di dizionari, oggi parlato com’era solo dagli ultimi “nativi” che risiedono a Venezia come monumenti di una storia passata ). I “nuovi “ veneziani, quelli che risiedono a Mestre e vengono quotidianamente a lavorare a Venezia senza abitarla, parlano - credendolo il veneziano classico - il ve-mestrino che ad esempio - come si può evincere da numerose nuove insegne di locali pubblici , e non solo - ha eliminato la lettera “l” , caratteristica del suono che il dialetto veneziano assume nella parlata corretta, dalle parole dove la “l” si trovi tra due consonanti. Tornando alle “gagiandre”, oggi leggiamo su interventi social, su Internet, su comunicati o articoli che annunciano gli eventi in quell’area dell’Arsenale nota come “Gagiandre” la parola accresciuta di una “g”:“gaggiandre”. Penso che forse gli autori di questo accrescimento di potere per il termine che definisce l’area dell’Arsenale suddetta ( come il mio amico lo faceva per Spinea-Spinella...), abbiano preso un abbaglio. Forse non conoscono la traduzione dal Veneziano che tra l’altro spiega la scelta di quel nome per l’area importante dell’Arsenale dove per secoli si ritrovavano in numeri elevati le tartarughe in cerca di avanzi di cibo assicurati dalla frequentazione di persone in quell’area più numerosa che in altre zone dell’Arsenale (“gagiandra” infatti , in dialetto veneziano , è la tartaruga - o testuggine ) con buona pace del dizionario - ad uso di chi ha il dovere si rispettare anche l’ortografia di un dialetto-lingua ancora vivo e dotato di documentazione (ad esempio, tra altri , il “Dizionario del Dialetto veneziano” di Giuseppe Boerio - editore Premiata Tipografia di Giovanni Cecchini - 1856 )- che si può richiedere alle librerie specializzate. Più semplice comunque lasciare e non raddoppiare le consonanti, e accettare che in italiano tartaruga si scriva con una “r” sola . Per favore, eliminate da gaggiandre una “G” di troppo! Venezia ringrazia.
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Luciana Boccardi