Due notti opposte, eppure trascorse sotto lo stesso cielo. Impossibile ovunque, ma certo non a Madrid. Perché l’ottavo derby stagionale tra il Real e l’Atletico ha timbrato la sentenza definitiva. Nessuna vendetta, solo la prosecuzione di un andare rotolato ormai nella leggenda. È stata la squadra di Carlo Ancelotti a planare leggera – e con pieno merito, va detto – verso il sogno delle semifinali della Champions League. Al contrario, l’incubo ha accompagnato il (poco) sonno dei colchoneros di Diego Simeone, animati da sentimenti di rivalsa ma, a stringere, capaci al Santiago Bernabeu soltanto di allestire un ordinato catenaccio. Inutile. Inutile e offensivo in senso lato, almeno a certi livelli. Così, il protagonista (o l’antagonista, dipende dall’angolazione) della serata è divenuto il messicano Javier Hernandez, per tutti Chicharito, 27 anni da compiere fra 39 giorni. «ChichaDios Hernández», lo ha celebrato il quotidiano Marca.
Una girata a specchio libero, un ringraziamento a Cristiano Ronaldo e via, una corsa pazza verso la bandierina. E si fa una gran fatica ora a indovinare il nome esatto di tutto quel gran mescolo di gioia. E forse, in fondo, lo conosce solo Hernandez, o neppure lui, chissà. Spesso boicottato dagli infortuni o accantonato, il talento messicano è affiorato in superficie dopo aver risalito abissi profondi. Giocava poco, o mai. Ma, si sa, lo sport sana le fratture, restituisce un ordine, riequilibra le ingiustizie. E, allora, all’88’ di una sfida orientata ormai verso la proroga dei tempi supplementari, il piccolo e grande Chicharito, presente perché assente Benzema, ha regalato al Madrid la semifinale e la prima vittoria stagionale contro i concittadini; e a sé una bolla di felicità indimenticabile. «Quando non giocavo rimanevo paziente, i miei compagni avevano fiducia in me», ha sussurrato ieri sera, ancora incredulo.
Bisogna registrare che la stampa spagnola ha elogiato la prestazione del Real, tributandogli un mare di complimenti. È piaciuta la prova. E non meraviglia che i supporter abbiano organizzato qualche festeggiamento per le strade della città. Sul versante biancorosso, palpabile è diventato lo sconforto col trascorrere delle ore. Coerente a un certo modo di stare in campo, Simeone ha rinunciato a spendersi e a proporre un’identità: e questo adesso i tifosi e i media glielo rimproverano. Anche se, a pensarci, non è da escludere che si sia trattato per così dire di una resa iniziale del tecnico, dovuta a una presa di coscienza. Se ne dà questa lettura, almeno a navigare nel gran mare del web. Era troppo più forte il rivale: non si spiegherebbe altrimenti l’atteggiamento dell’Atletico, improntato solo alla difesa.
È il bello del pallone, che confonde le idee e disegna sorrisi. E srotola notti opposte, sotto lo stesso cielo. Come ieri a Madrid.