Allarme caro vita nel veneziano, gli abitanti più poveri di 125 euro al mese. Ecco le ragioni

Lunedì 19 Giugno 2023 di Davide Tamiello
Allarme caro vita nel veneziano, gli abitanti più poveri di 125 euro al mese. Ecco le ragioni

MESTRE - I veneziani sono più poveri di 125 euro al mese.

E a farne le spese sono i cittadini più fragili, a cominciare dai pensionati visto che, secondo il dato dello Spi Cgil tre pensioni su cinque, in provincia, non arrivano a mille euro. Nel 2021 fra carrello della spesa, bollette e costi vari, medicinali, ristorazione, telefonia, trasporti, istruzione e servizi personali di varia natura, il conto finale elaborato da una simulazione del sindacato pensionati è di 1.340 euro mensili. Nel 2022, invece, con l’impennata dei prezzi e l’inflazione a doppia cifra (+10,8% nel capoluogo) l’esborso è salito a poco meno di 1.450 euro, 110 euro in più al mese. Nei primi quattro mesi dell’anno in corso il conto è aumentato ancora: gli anziani veneziani stanno pagando quasi 1.520 euro al mese. Rispetto al 2021, quindi, servirebbero 180 euro in più di pensione. Solo che gli assegni previdenziali sono sì cresciuti, ma in media di 57 euro, cifra del tutto inadeguata a recuperare l’inflazione del 2022, e tantomeno e reggere un po’ l’urto dei rincari dell’anno in corso. 

«Dalla nostra analisi - commenta Daniele Tronco, segretario generale dello Spi Cgil di Venezia - emerge come la rivalutazione, con una inflazione di questo genere, copra forse la metà dei reali rincari del 2022, quando invece avrebbe dovuto coprirli tutti. Se consideriamo anche l’inflazione di quest’anno, che verrà riconosciuta, almeno in parte, nelle pensioni del 2024, ci rendiamo conto di quanto sia difficile se non impossibile per molti anziani veneziani arrivare a fine mese. Per tutelare il loro potere d’acquisto in modo pieno al netto dell’adeguamento già riconosciuto dal governo (7,3% contro l’8,1% che è l’inflazione reale in Italia), all’appello mancherebbero ancora 125 euro mensili a partire da gennaio 2023». 

AUMENTI RISICATI

In effetti, osservando gli ultimi dati del 2023 sulle pensioni private (l’80% delle pensioni totali) nel nostro territorio, possiamo constatare quanti anziani vivano praticamente in uno stato di povertà. L’assegno previdenziale medio del “privato” è di 1.111,51 euro, contro i 1.054,13 euro dell’anno prima. Come detto, in questo caso l’aumento, legato alla rivalutazione, è di 57,38 euro, cifra del tutto inadeguata per tutelare il potere d’acquisto degli anziani. Come sempre, i numeri testimoniano ancora una volta il gap retributivo di genere: le pensioni degli uomini hanno importi doppi rispetto a quelli delle donne. Tre pensioni su 5 (58%) non raggiungono i mille euro lordi mensili, ma la percentuale sale al 76% se si guarda solo agli assegni “femminili”. Rilevante anche il divario di età. Le pensioni destinate ad anziani di età compresa fra i 65 e i 79 anni sfiorano i 1.330 euro lordi mensili, agli ultraottantenni, per lo più donne, arrivano assegni medi di 908 euro. 
«I nostri anziani sono sempre più sotto pressione – prosegue Tronco -. Ora, alla luce di questa indagine, torniamo a ribadire le nostre richieste a un governo che ci pare un po’ distratto, per usare un eufemismo, nei confronti di chi ha meno e dei ceti più fragili». Di fronte a un’inflazione di questo tipo, il meccanismo, seppur fondamentale, risulta insufficiente per la Cgil tanto più dopo l’intervento dell’esecutivo Meloni. «Ha riconosciuto una rivalutazione al 100% solo alle pensioni inferiori ai 2.101,52 euro lordi mensili, tagliandola drasticamente a pensionati descritti come nababbi ma per lo più beneficiari di pensioni nette da 1.600, 1.700 euro al mese, frutto spesso di una vita da insegnante o da operaio specializzato, e vittime come gli altri dei rincari. Auspichiamo che almeno il conguaglio previsto a partire da gennaio 2024 venga erogato in anticipo, come aveva fatto il governo Draghi nel 2022 assecondando le richieste dei sindacati».

Ultimo aggiornamento: 07:26 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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