«La trippa? Era pronta entro le 10»: i (quasi) 50 anni di Simionato alla Taverna, ora passata di mano

Martedì 16 Gennaio 2024 di Daniela De Donà
Massimo Simionato (a destra) con i nuovi gestori Massimiliano Galtarossi e Barbara Dazzo

BELLUNO - Era il primo gennaio 1976 quando la friulana Giovanna Bulfone e il veneziano Giovanni Simionato arrivarono a Belluno per prendere il timone dell’albergo-ristorante ”Taverna”.

A metterglielo in mano il bellunese Bruno Dal Pozzo che, così, cedeva l’attività. A tornare indietro nel tempo è Massimo Simionato che da 48 anni è dentro le stesse mura. Anche lui ha da poco passato la mano: la “Taverna”, dopo quasi mezzo secolo, è ora nelle mani di Barbara e Massimilano. 


I RICORDI 
«Avevo 18 anni – Massimo Simionato va indietro nel tempo - subito mi diedi da fare. Stavo in cucina, in sala o mi dedicavo all’amministrazione. Per gestire una simile azienda, infatti, occorre saper fare un po’ di tutto». In mezzo secolo molto è cambiato nel mondo della ristorazione. «Basti pensare che alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, quando rilevammo il locale, si vendevano ben 100 litri di vino al giorno. Bianco o rosso, sfuso, senza tante etichette». Un primo cambio di passo, a proposito del vino, si ebbe dieci anni dopo, con la truffa perpetrata mediante adulterazione di vino da tavola con il metanolo che portò alla morte di 19 persone. «Fu uno scandalo questo taglio del vino per dare grado. Sta di fatto che la conseguenza fu netta: si ridusse il consumo di vino. A pagare fu la nostra attività visto che riguardava prevalentemente il bar. Così ci si rimboccò le maniche e si passò alla ristorazione. E ci è andata bene». Papà Giovanni si mise in testa il cappello da chef e si puntò su un menù semplice, ma gustoso: dalle tagliatelle ai funghi al baccalà. «Ogni porzione di pasta, che fosse al pomodoro o al ragù, era di un etto e mezzo. Oggi per il cliente non conta la quantità, ma la qualità che ha nel piatto». 


LA TRIPPA E I “SENSER” 
A Massimo Simionato torna in mente la pentola piena di trippa che doveva essere pronta per le 10 di mattina. «Perchè a quell’ora venivano a mangiarla tutti coloro che, al Foro Boario dove si teneva il mercato del bestiame, facevano pausa. Persone che erano partite da casa alle 4-5 di mattina, ed erano affamate». In “Taverna” allora si stipulavano i contratti, si facevano gli affari grazie ai “senser”, mediatori di prodotti agricoli o zootecnici. «Per l’accordo sputavano sul palmo della mano, quindi la stretta. E ci si fidava reciprocamente». 


LA CLIENTELA 
La “Taverna” è frequentata da bellunesi e da turisti. Per la vicinanza con il Teatro “Buzzati” hanno cenato ai suoi tavoli artisti di teatro e della lirica. Ma anche Sandro Pertini e Tiziano Ferro, Beppe Grillo e la Premiata Forneria Marconi, Massimo D’Alema. Certo è che – come sottolineato da Simionato – rispetto agli anni Settanta la gestione della cucina è diventata più complicata: «Ci sono i celiaci, in espansione, che hanno esigenze che vanno rispettate – porta alcuni esempi – ma vedo anche l’aumento di clienti che hanno una leggera intolleranza e chiedono il piatto con una variante specifica. In generale: si è un pochino più capricciosi. Magari anche perchè maggiormente informati». Pure nel beverage le abitudini, e le richieste, sono cambiate. Ed è migliorata la cultura e la conoscenza delle etichette. «Tanto che ci si è adeguati, con la carta vino che ha 200 referenze – conclude il neo pensionato - non si vuole bere tanto, ma bene. E sta tornando la richiesta di vino di qualità al bicchiere». 


DAL PASSATO AL FUTURO 
Il passamano è stato facile. La nuova titolare della “Taverna”, Barbara Dazzo, da 21 anni segue la vita del locale nella veste di regina della cucina: è lei la cuoca, affiancata dal marito, Massimiliano Galtarossi, padovano come la moglie. Hanno tutte le intenzioni di lasciare invariato il menù ereditato, magari con varianti innovative. Pare bandita la nouvelle cuisine: «Non vogliamo fermare la modernità, ma tenere duro sulla tradizione veneto-bellunese, più piccole novità». Come la triglia in saor, la pasta con le capesante e il granchio, i bigoi alla busara. Il piatto forte di Barbara rimane, comunque, il capriolo: «Ho imparato a cucinarlo seguendo la ricetta originale della famiglia Simionato, con tutti gli accorgimenti che mi ha passato la storica cuoca Ersilia». L’obiettivo è andare incontro a più palati: «Anche a quello del bellunese che vuole assaggiare qualcosa che non sia polenta e pastin».
 

Ultimo aggiornamento: 16:39 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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