«La fonte della minaccia è soprattutto Kaliningrad, l’enclave russa sul Baltico, dove ci sono anche missili atomici balistici ed è legata alle mire espansionistiche di Putin e alla guerra in Ucraina. Ce n’è abbastanza per ritrovarci in pieno clima da guerra fredda e per richiedere il ritorno delle atomiche americane in Gran Bretagna». Andrea Margelletti, presidente del Centro studi internazionali, grande esperto di geostrategia militare, “legge” la notizia del ritorno di testate nucleari americane nel Regno Unito, dopo che erano state riportate negli Usa ben quindici anni fa, come la risposta necessaria «all’innalzamento della tensione e dei rischi di conflittualità nello scenario euromediterraneo, una scelta inevitabile considerando il contesto».
Come funziona la deterrenza e che cosa comporta?
«Anzitutto, trattandosi della base Raf britannica di Lakenheath bisogna pensare che il trasferimento rientri in un accordo bilaterale tra Stati Uniti e Gran Bretagna, quindi non direttamente Nato.
Nel sistema Nato, invece, come funziona?
«Nell’ambito Nato esiste un Nuclear Sharing Group al quale aderiscono diverse nazioni, fra cui l’Italia, in cui si applica il concetto della doppia chiave. Ovvero, come su base bilaterale, la nazione europea mette l’aereo e gli Stati Uniti la Bomba. Ovviamente, in questo caso dentro una catena di comando Nato, non americana. All’interno di questo accordo c’è una rete di aeroporti ben definiti con un numero limitato di hangar in ciascuno, in cui si trovano gli aerei. Le bombe vengono conservate in un deposito a pochi chilometri dall’aeroporto, sotto custodia americana. In caso di innalzamento della tensione, vengono portate nell’aeroporto e sistemate sotto gli hangar, in apposite rastrelliere».
Che cosa succede nel caso di guerra atomica?
«L’aereo è pronto nell’hangar col piano di volo, le bombe salgono tramite degli “ascensori” speciali, e vengono agganciate dall’aereo che va a fare la sua missione. In pratica, non resta che riattivare strutture che già c’erano: depositi e hangar».
Che cosa cambia con la decisione anglo-americana?
«Durante la guerra fredda erano diversi gli aeroporti attrezzati in questa maniera, ma di fronte al cambiamento di scenario internazionale molti hanno cessato la loro funzione “atomica”, si pensava che il pericolo fosse ormai trascurabile. Con la guerra in Ucraina e quel che ne consegue, gli americani preferiscono tornare ad avere una capacità in più, e lo stesso gli inglesi. Ovviamente, non tutti gli aeroporti hanno mantenuto quella potenzialità. Lakenheath sì. Altri sono in Belgio e Germania».
E noi? In passato si è parlato di armi atomiche, per esempio nelle basi di Ghedi e Aviano, come riporta anche una mappa di ieri del Daily Telegraph…
«Se a Ghedi ci sono bombe atomiche, come risulterebbe anche da una fotografia di qualche anno fa con gli americani schierati davanti a una testata nucleare B-61, hanno l’etichetta Nato. Ad Aviano, invece, è tutto americano. A Ghedi c’erano i Tornado, ma anche in questo caso si può immaginare che arrivino gli F-35. Per la stessa ragione, credo, pure i tedeschi hanno comprato l’F-35 Dca, con le spese prese in carico per l’integrazione atomica dagli americani».
Quale potrebbe essere l’uso delle atomiche, ovviamente difensivo?
«Lo scenario caldo è quello dell’Europa centro-settentrionale, sull’asse Ucraina-Kaliningrad, per questo si rafforza il fronte Nord, mentre Ghedi e Aviano coprono il fronte centro-sud dell’Europa. Nel Mediterraneo ci sono i sommergibili russi a propulsione nucleare con missili tattici, ma le atomiche, è ovvio, non verrebbero impiegate contro i sommergibili».