Mar Rosso, tensioni nel Canale di Suez: porti italiani in crisi. Ma Civitavecchia è salva

Nell'ultima settimana lo stretto canale di Suez che collega il Mar Rosso al Mediterraneo ha vissuto un crollo dei passaggi delle navi e i loro container del 35-40%. Neanche durante il primo lockdown, quello totale della primavera 2020, così, il golfo di Trieste era rimasto tanto vuoto

Lunedì 15 Gennaio 2024 di Marco Agrusti, Maria Cristina Benedetti, Nando Santonastaso
Mar Rosso, tensioni nel Canale di Suez: porti italiani in crisi. Ma Civitavecchia è salva

Banchine vuote a Trieste e allarme rosso a Gioia Tauro, mentre la situazione è più tranquilla ad Ancona e Civitavecchia. I porti italiani, nei giorni della crisi geopolitica e commerciale nel Mar Rosso, fanno i conti con i contraccolpi ai traffici delle merci tra Europa e Oriente. Nell'ultima settimana lo stretto canale di Suez che collega il Mar Rosso al Mediterraneo ha vissuto un crollo dei passaggi delle navi e i loro container del 35-40%.

Neanche durante il primo lockdown, quello totale della primavera 2020, così, il golfo di Trieste era rimasto tanto vuoto. I traffici globali di container via mare allora non si erano mai fermati del tutto. C'era un mondo che doveva continuare a produrre, a vivere. Oggi, invece, le acque dello spicchio più settentrionale del Mar Adriatico, porta commerciale per l'Europa Centrale, sono una landa desolata. La crisi di Suez, con i continui attacchi ai convogli commerciali da parte del gruppo armato yemenita degli Huthi e l'operazione anglo-americana contro le postazioni dei ribelli, rischia di mettere in ginocchio i principali porti dell'Adriatico: a Trieste, infatti, dal 28 dicembre non arrivano più navi portacontainer. La prima è attesa per oggi, dopo uno stop durato quasi due settimane.

CHE SUCCEDE NEL SETTENTRIONE

A lanciare l'allarme è Zeno D'Agostino, presidente dell'autorità portuale del Friuli Venezia Giulia. «È grazie alla nostra posizione rispetto a Suez - spiega - che abbiamo conquistato fette di mercato importanti in Europa settentrionale e centrale. Se la crisi dovesse durare uno o due mesi sarebbe risolvibile. Altrimenti molto meno. Se le navi, come accade ora, scelgono la rotta che prevede di doppiare il Capo di Buona Speranza in Sudafrica, è ovvio che una volta dirette in Europa finiscano per scegliere il porto di Amburgo e non Trieste». In poche parole, la stessa posizione diventata privilegiata per le navi salpate in Oriente e dirette nel Mediterraneo, ora finisce per penalizzare lo scalo del Friuli Venezia Giulia, troppo lontano se una nave arriva dallo stretto di Gibilterra.

Il porto, però, non è fermo. Il traffico basato sul sistema "Ro-Ro", che consiste nella movimentazione dei traghetti sui quali vengono caricati i tir provenienti da tutta Europa, continua a funzionare. Ma è ovvio che la crisi del canale di Suez non faccia dormire sonni tranquilli a una regione che sulla crescita esponenziale del suo porto principale conta parecchio, anche in termini di Pil. Le contromisure però sono già in cantiere. L'Autorità portuale sta lavorando all'apertura di un canale preferenziale con i porti della costa marocchina, per garantirsi una prima via d'uscita alternativa in caso di crisi prolungata nel canale di Suez. In primavera, invece, partirà il primo collegamento diretto con l'Egitto. Non comprenderà il passaggio a Suez, ovviamente.
Anche dal porto di Venezia si guarda con preoccupazione agli sviluppi della crisi in Medio Oriente. Il presidente di Federagenti, Alessandro Santi, lo dice chiaramente: «Se i mercantili si abituano a cambiare rotta, sarà molto probabile che non rientreranno più per lo stretto di Gibilterra e che i porti del Mediterraneo, a maggior ragione quelli dell'Adriatico come Venezia, saranno tagliati fuori».

PAURA NEL MEZZOGIORNO

Al Sud, invece, come detto si teme per Gioia Tauro, in Calabria, uno dei tre porti italiani con Genova e Trieste che può accogliere le petroliere e le navi porta-container. Ma la drastica riduzione dei trasporti marittimi sta iniziando a far paura anche agli altri scali del Mezzogiorno. «Se lo scenario di guerra che si è delineato nel Mar Rosso durerà a lungo- dice Alessandro Panaro, curatore dell'annuale Rapporto sull'economia marittima di Srm, la Società di Ricerche e studi sul Mezzogiorno collegata al Gruppo Intesa Sanpaolo - gli effetti indiretti li subirebbero anche i porti di Napoli e Bari e comunque l'intera filiera dell'industria manifatturiera, non solo meridionale, che riceve i suoi prodotti via mare, visto che il Mediterraneo rappresenta per il Sud il 69% del traffico import-export di merci». Oltretutto l'impatto avrebbe un doppio valore negativo considerando che negli ultimi tre anni la crescita del sistema portuale meridionale ha assunto proporzioni notevoli, con punte di espansione persino superiori a quelle registrate nello stesso periodo nei grandi porti del Nord: gli scali del Mezzogiorno, infatti, sono presenti ai vertici di tutti settori (con punte del 51% in quelli del Ro-Ro, e delle Autostrade del mare).

 

MENO TENSIONE AL CENTRO

Va meglio, invece, a Civitavecchia. «C'è una destabilizzazione per questa nuova crisi - ha detto Pino Musolino, presidente di MedPorts e del porto di Civitavecchia. - ma arriveremo alla stabilità nel medio periodo e poi l'acciaio, uno degli indicatori principali della salute dell'economia, è ripartito bene». Per Musolino non dovrebbero mancare navi con le merci a Civitavecchia nei prossimi mesi, perché «ne sono state realizzate tante che finora erano ferme».

Non ci sono particolari preoccupazioni nemmeno ad Ancona. Secondo Vincenzo Garofalo, presidente dell'Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Centrale, «per ora non ci saranno ripercussioni immediate per lo scalo dorico». Il presidente dell'Autorità di sistema portuale fissa le geo-coordinate delle sue convinzioni. «Il nuovo fronte di crisi, conseguenza dell'attacco aereo di Stati Uniti e Gran Bretagna contro le posizioni militari Houthi, in risposta agli assalti dei ribelli alle navi in transito nel Mar Rosso, è interessato dai traffici mediorientali. Il nostro porto è concentrato, invece, sui movimenti dei Balcani». Un altro punto, secondo Garofalo, per ora ci risparmierebbe le fibrillazioni del conflitto: «Non siamo un hub, come lo è Trieste. Noi - rammenta - lavoriamo anche con i container, ma non solo».

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