Davanti a casa di Nicholas c'è l'automedica che lo ha trasportato dall'ospedale di Cesena, dentro voci e chiacchiere. E un'atmosfera di sollievo per quel figlio che, tra i cinque feriti, è l'unico a riabbracciare la sua famiglia.
Il fumo
Nicholas Bernardini, 25 anni, professione custode all’impianto di Bargi ma sempre pronto ad affiancare i colleghi nelle fasi operative, è un sopravvissuto all’esplosione.
«È in prognosi riservata ma in condizioni di stabilità clinica», il bollettino medico del professor Tommaso Tonetti. «Preoccupa il quadro respiratorio, è stato intubato sul posto, lo stiamo mantenendo intubato e ventilato meccanicamente». Solo loro, unitamente alle perizie e alle indagini tecniche, potranno ricostruire ciò che è accaduto a sessanta metri di profondità. Per ora il racconto che fa uno dei superstiti è asciutto, essenziale e scevro da interpretazioni. «Ho visto la fiammata e poi il fumo, ho sentito lo scoppio. Io tutto bene, ma purtroppo è successo questo», ha riferito Pierfrancesco Firenze alla moglie, Emilia Ferdighini, accorsa sull'Appennino bolognese. «Mio marito e era fuori con altri due suoi colleghi. Hanno visto questa fiammata e poi il fumo, ha sentito uno scoppio. Era un po’ sotto choc, si conoscono tutti qui». Firenze, spezzino come la famiglia, vive nella casa dell’Enel in cima alla diga di Suviana. «Non capivo cosa fosse successo - ha spiegato la moglie - L’ho appreso dal telegiornale. Sapendo che lui è qua ero spaventata». Frasi che disegnano uno scenario inimmaginabile, fino a pochi giorni fa. «Ho lavorato qui 15 anni - riflette Gabriele Cattani, ex dipendente della centrale accorso per avere notizie degli ex colleghi - Abbiamo sempre lavorato tenendo conto della sicurezza, sempre. È una centrale a pozzo: la sicurezza è tutto».
Supervisione
Lo sa bene Diego Ottonello, operaio di 45 anni da due anni dipendente dell’azienda Engineering automation srl, con sede a Mele in provincia di Genova, per la quale lavoravano le vittime. «C’ero stato anche io nel sottosuolo dell’impianto. Andavamo sempre con il nostro titolare, Mario Pisani, che ci spiegava come operare. I miei colleghi sapevano cosa fare, non escludo ci sia stato qualche altro problema. Loro erano andati là per effettuare una supervisione a un intervento già effettuato da altri. Non dovevano neanche trovarsi in quel posto. Erano brave persone, grandi lavoratori».