Antonio Ciontoli non voleva che Marco Vannini, fidanzato della figlia, morisse e «se si fosse confrontato con l'evento morte non avrebbe agito così come poi ha fatto. Trovarsi in una situazione di rischio e cercare di gestirla non significa accettare l'evento morte». È quanto affermato dall'avvocato Andrea Miroli, nel corso della suo intervento al processo d'appello bis per la morte del giovane avvenuta a Ladispoli nel maggio del 2015.
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Il difensore ha chiesto quindi alla corte di ripristinare la prima condanna a 5 anni per omicidio colposo aggravato dalla colpa cosciente.
«Una sentenza, quella del primo giudizio di appello, che ha provocato una sollevazione popolare, una cosa indegna in uno Stato di diritto - ha aggiunto il difensore di Antonio Ciontoli-. Eppure il mio assistito non può essere condannato per omicidio volontario con il dolo eventuale. Lui e neppure i suoi familiari. Adottare un comportamento sia pure biasimevole in una situazione di rischio, evidentemente mal governata, non significa che l'imputato ha voluto la morte di Marco. Ciontoli, così come i suoi familiari, era convinto che la lesione al braccio di Vannini provocata dal colpo d'arma da fuoco non fosse letale. Non c'è evidenza in questo processo che i Ciontoli fossero consapevoli della gravità della lesione riportata da Marco. E se non c'è consapevolezza significa che nessuno ha aderito all'evento morte».