Lattebusche compie 60 anni
e continua a crescere ancora

Martedì 9 Settembre 2014 di Giancarlo D'Agostino
Lo stabilimento di Busche
1
BUSCHE - Sessant’anni in cooperativa. Sempre e comunque con un’unica missione: fare in modo che gli allevatori possano restare in montagna e avere un’adeguata remunerazione per i sacrifici che fanno ogni giorno. È lo spirito di Lattebusche, lo stesso che i 36 soci fondatori ebbero all’atto di recarsi dal notaio, a Feltre, quell’ormai lontano 1954. E oggi, a Cesiomaggiore, la cooperativa festeggia 12 lustri di impegno e crescita continua, crisi o non crisi.

Un simbolo per il Bellunese che produce, e non solo. Perché Lattebusche da tempo ha allargato i propri confini, alimentando occupazione e indotto anche a Chioggia, Sandrigo e a San Pietro in Gù. Alimentando 20 fusioni, mai avventurose. Con numeri che non conoscono inversioni di tendenza. Gli ultimi, elencati lo scorso marzo ai 373 soci, parlavano di un fatturato stimato in oltre 90 milioni di euro, in linea con quello precedente, con una gestione di 1.088.402 ettolitri di latte, solo in piccola parte caprino, con una resa di 51,11 euro per ogni ettolitro prodotto conferito dai soci.

E poi c’è il prodotto. A iniziare dalla Dop Piave, il formaggio nato negli anni Sessanta da un’idea di Eliseo Dal Pont e Giuseppe Bortoli, quest’ultimo padre dell’attuale direttore generale, Antonio. Un formaggio a pasta cotta che dal 1974, anno del suo primo brevetto, ha rosicchiato il mercato arrivando alle 350mila forme prodotte annualmente, un quinto delle quali destinate al mercato estero, distribuito su 40 Paesi di tutto il mondo: dagli Stati Uniti all’Australia, dalla Russia ad Honk Kong.

Ma il vero salto di qualità, Lattebusche lo ha compiuto agli inizi degli anni ’80. Antonio Bortoli, che a Busche era arrivato nel 1974, aveva capito che bisognava farsi conoscere anche altrove, portando i potenziali acquirenti del prodotto Lattebusche direttamente in azienda. Mostrando loro un’arte che non ha segreti: quella, ad esempio, di Dimitri Biasuz, il casaro che ogni mattina si alza alle 3 per dare vita ad un nuovo ciclo di produzione. Ma mostrando anche un territorio nascosto, forse dimenticato, fonte inalienabile di un’economia unica per il Bellunese.

Bortoli, ripensando a quegli anni ’80, vede in quella sfida la chiave della svolta. «Mi domando dove saremmo ora se non avremmo avuto il coraggio di uscire dalla provincia». Oggi, alla festa dei sessant’anni, riassumerà in 45 minuti la strada percorsa dal 1954. «La crisi? Inutile dire che non c’è, perché certamente avremmo potuto avere un fatturato più elevato». Ma Bortoli guarda, come sempre, al domani: «Gli indicatori ci dicono che posiamo ancora crescere».
Ultimo aggiornamento: 08:56 © RIPRODUZIONE RISERVATA