Il salto di qualità negli attacchi degli Houthi alle economie occidentali, soprattutto europee, passa per i cavi delle telecomunicazioni sottomarini, non più spessi di un tubo per innaffiare il giardino.
I cavi
Sarebbero almeno 16 i cavi sottomarini nelle acque del Mar Rosso, attraverso i quali passa il 17 per cento del traffico Internet di tutto il globo e in alcuni tratti corrono ad appena 100 metri sotto il pelo dell’acqua. Uno, in particolare, rischia di finire nel mirino dei terroristi Houthi, l’Asia-Africa-Europe AE-1, lungo più di 25mila chilometri. Gli analisti del Gulf security forum scrivono in un rapporto che «i cavi sono rimasti al sicuro finora grazie al relativo sottosviluppo della tecnologia Houthi, e non per mancanza di motivazioni». La guerra dei ribelli con l’Arabia Saudita per il controllo dello Yemen è stata per lo più terrestre, di conseguenza la loro Marina non è particolarmente avanzata. Ma la minaccia prende corpo. «La situazione è gravissima, fortemente critica», commenta Giovanni Ottati, consulente strategico delle Tlc in Africa, membro del Comitato di indirizzo strategico della Fondazione E4Impact ed ex presidente di Confindustria Assafrica & Mediterraneo. «Praticamente tutti i cavi sottomarini che raggiungono dall’Europa l’India e la Cina attraversano il Canale di Suez e passano nel Mar Rosso, toccando da un lato lo Yemen e dall’altro Gibuti, che è diventato un punto strategico delle Tlc. Da lì i cavi poggiano su Alessandria e Suez, in Egitto, e quindi nel Mediterraneo». Ci sono cavi che dall’India e dalla Cina vanno direttamente in Sudafrica, dalla Malesia e le Mauritius per poi risalire lungo la costa occidentale africana fino al Portogallo e al Regno Unito. «Questo cavo, il Safe-Wasc, ha però fine vita nei prossimi due anni. Le alternative sono state create soltanto di recente: il cavo di Meta-Facebook che ha a Genova uno dei suoi punti di approdo. La controindicazione è che anche questo cavo, l’Africa2Connect – spiega Ottati – passa dalla Grecia all’Egitto e attraverso il Canale di Suez tocca poi Kenya, Tanzania e Sudafrica, e quindi risale esattamente come le navi che effettuano per sicurezza la circumnavigazione dell’Africa per il Capo di Buona Speranza».
L’alternativa
L’altra alternativa è l’Equiano di Google, che tocca Nigeria, Togo e va giù dritto in Namibia e Sudafrica. Il problema è che finisce là. Quindi c’è bisogno di cavi terrestri che «passando da Mombasa in Kenya e Dar Es Salaam in Tanzania, tramite la Repubblica Democratica del Congo raggiungano l’Angola per ricollegarsi al cavo indiano a Luanda e Lobito». Questa sarebbe la risposta del mondo delle Tlc alla crisi del Mar Rosso. Intanto, però, «Sabotare un cavo sottomarino è facilissimo, basta un piccolo sottomarino che vada in profondità e tranci i cavi», dice Ottati. «Prima che si faccia l’intervento di ripristino in una situazione di guerra passa un mese, immaginiamo cosa possa significare un’interruzione dei servizi di trasmissione dati con la Cina o con l’India, il più grande hub di assistenza ai software».
Le reazioni
Proprio ieri il ministro della Difesa britannico, Grant Shapps, ha riconosciuto che i raid anglo-americani non hanno azzerato la capacità offensiva degli Houthi, la cui intenzione resterebbe «quella di continuare a ostacolare la navigazione nel Mar Rosso». E “Le Monde” specifica che la crisi pesa proprio sull’Italia, le cui esportazioni per il 54 per cento avvengono via mare, e di queste il 42.7 per cento lungo il Canale di Suez. «Non ci faremo intimidire», ammonisce il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ribadendo l’impegno in prima linea dell’Italia nella missione Ue nel Mar Rosso che partirà a breve per proteggere i mercantili dagli assalti degli Houthi.