Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Ritorno a Seoul: la ricerca delle radici
in un film struggente e affascinante

Venerdì 12 Maggio 2023

Bisognerà segnarsi questo nome: Davy Chou. Regista franco-cambogiano, oggi 40enne, scrittore, regista e produttore, si era fatto notare come autore alla Semaine di Cannes nel 2016 con “Diamond island”, ma è soprattutto con questo “Ritorno a Seoul”, anch’esso passato l’anno scorso a Cannes, ma promosso alla sezione Un certain regard, che ha mostrato una qualità non indifferente di narratore, una padronanza rilevante di sintassi cinematografica, ragionando con il tema che gli sta più a cuore: la ricerca delle proprie origini e la loro frattura con il vivere quotidiano. Partendo da una storia raccontata da un’amica coreana e che si collega alla propria esperienza di figlio, i cui genitori scapparono dalla Cambogia al tempo dei khmer rossi (esodo riassunto nel suo documentario “Golden Slumbers”), Davy Chou ci fa incontrare Freddie, giovane 25enne che arriva a Seoul, là dove neonata era stata ceduta in adozione a una coppia francese. Ci basta la prima scena a farci capire come Freddie sia una ragazza ostinata e supponente, non disposta molto al compromesso, apparentemente forte, non priva però di fragilità. L’arrivo in Corea le dà la possibilità della ricerca dei propri genitori biologici, ma il percorso si dimostra accidentato: l’incontro con il padre non è tra i più piacevoli, essendo l’uomo spesso ubriaco e diventando in breve tempo una presenza ossessiva nel tentativo di riportare la figlia a casa. Ma l’ostacolo maggiore risulta la madre, che nemmeno l’agenzia di collocamento per le adozioni riesce a contattare. Diviso per capitoli temporali, dove troviamo Freddie che nel frattempo si ricolloca a Seoul e inizia una ronde di compagni sempre assai precaria, a cominciare dal venditore di armi con il quale trova anche una collocazione professionale, “Ritorno a Seoul” è la sintesi di una continua ricerca di se stessi e del posto per stare al mondo, mostrando come il loro coniugarsi diventi via via più insoddisfacente, a cui l’espressività della bravissima interprete Park Ji-min dona quelle sfumature ambigue e chiaroscurali che accompagnano il disarmonico progredire della storia. E se al capolinea Freddie riceve finalmente un segnale da parte della madre, che Davy Chou rappresenta in modo mirabile come l’autentica fantasma della storia anche davanti alla sua presenza, non a caso illusoriamente temporale, la ricostruzione della propria cultura originale resta pervasa da un’irrequietezza indomabile, che lascia spazio in definitiva a una malinconia struggente, come dimostra il finale davanti a un pianoforte. Ne esce un film affascinante, quasi sfuggente nel contrasto dei sentimenti e delle azioni della protagonista, instabile al pari delle relazioni amorose con la necessità di arrivare a una vera e propria rinascita. Voto: 7,5.

 

Ultimo aggiornamento: 16:50 © RIPRODUZIONE RISERVATA