Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Genesi di un artista: Fabelmans lascia il segno
Montagne e asini, amicizie e crudeltà

Venerdì 23 Dicembre 2022

Forse è destino che all’inizio ci sia sempre un treno. Di sicuro anche il primo stupore non si scorda mai. Diventa perfino un’ossessione. Così quando l’ancora bambino Sam Fabelmans, figlio di un ingegnere informatico e di una pianista mancata costretta a fare la casalinga, vede in una sala della sua città lo spettacolare incidente sui binari girato da Cecil B. DeMille ne resta folgorato e alla prima occasione possibile ha un unico desiderio: replicarlo. Non è d’altronde il “più grande spettacolo del mondo”? Svelando la propria infanzia e la propria famiglia, Spielberg illustra anche la sua più grande passione, passata attraverso gli anni e le varie possibilità tecniche, a cominciare dalla prima 8 mm del padre e i primi filmini amatoriali, dove già la fantasia galoppava; e lo fa con quel misurato sentimentalismo che permea ogni cosa della vita e quasi sempre i gesti dei suoi personaggi, disegnando la propria parabola di artista, tutt’altro che semplice, passata attraverso dolorose esperienze. “The Fabelmans” racconta la storia di una vocazione di un formidabile regista prima che il suo sogno di diventare tale inizi sul serio; e, a chiusura del film, soprattutto dopo quello straordinario incontro, affettuosamente scorbutico e un po’ paternalistico, con un autentico maestro di sempre (John Ford interpretato da David Lynch, che aggiunge quell’ironia tutta sua), che gli spiega dove deve stare l’orizzonte nell’inquadratura, perché se sbagli, il cinema muore. Così tutta la bellissima prima parte è colta nel febbrile desiderio di Sam di imparare a girare, montare, capire il cinema, che disvela, modifica, interpreta la realtà, anche nella sua forma più crudele. Si veda tutta la ricostruzione della scoperta della tresca amorosa della madre con lo “zio”, dove tutta la narrazione passa attraverso la revisione di riprese durante una gita nei boschi, che lo spettatore vive attraverso lo sguardo sempre più attonito del ragazzo, obbligato a togliere dal montaggio i fotogrammi incriminati, mentre la mamma fa risuonare Bach al pianoforte. Spielberg fa primeggiare la potenza dell’immagine, dunque del cinema e anche se la seconda parte, dall’arrivo in California, specialmente nella scuola dove Sam è oggetto di antisemitismo, non è altrettanto coinvolgente, “The fabelmans” è l’atto generoso di un regista che ha deciso di affidare al cinema il racconto della sua vita. Tutt'altro che agevole, perché il film sa essere duro più di quello che forse sembra. Il bravo Paul Dano è un padre al quale sfugge sempre qualcosa di importante della sua famiglia, la bravissima Michelle Williams è una madre in perenne affanno di equilibrio verso se stessa e i figli (si pensi alla scena del tornado), ma la vera sorpresa è l’intensa adesione di Gabriel LaBelle, che dosa del giovane Spielberg i momenti elettrici della formazione e quelli malinconici della durezza dei sentimenti. Voto: 8

FARE L'ASINO - Il mondo visto attraverso gli occhi di un asino. Partendo dal Balthazar di Bresson, ma subito deragliando in una composizione per quadri non necessariamente dialoganti, con "EO" Skolimowski compone una sinfonia sulla libertà (in questo caso degli animali) non prova di fascino, splendidamente catturata nelle sue più svariate forme, con stacchi a tratti decisamente sorprendenti, ma forse banalizzandosi quando affronta i comportamenti umani (il finale, decisamente infelice, con Isabelle Huppert) e accelerando insistentemente sul manifesto animalista (circhi, gabbie eccetera), già chiaro fin dalla prima sequenza. Forse andava, semmai, sviluppato di più il rapporto tra l’asino e la ragazza, forte all’inizio e poi un po’ abbandonato. Non privo di sarcasmo (a cominciare dal titolo, che echeggia il raglio), scioccante in qualche frammento violento (l’uccisione del camionista), resta indimenticabile la figura di questo asinello, “attore” straordinario, i cui primi piani riempiono lo schermo e la storia. Voto: 6.

LASSÙ SULLE MONTAGNE - Pietro è un bambino di città, vive a Torino e durante le vacanze con la famiglia si reca in un paesino di soli 14 abitanti nelle Alpi aostane, dove l’unico suo coetaneo è Bruno. Tra loro in breve nasce una amicizia molto forte, che durerà, pur con varie parentesi di separazione, una vita intera. Dal romanzo di Paolo Cognetti, premio Strega 2017, "Le otto montagne", film "italiano" diretto da una coppia di registi belgi, è una elegia bucolica della montagna, un inno devoto all’amicizia più pura e le conflittualità esistenziali con se stessi e soprattutto con i padri. Girato in un formato che nega la spettacolarizzazione del paesaggio (quindi un quadrato che indica anche l’introspezione dei personaggi), è un romanzo di formazione che pecca di eccessiva lunghezza, di una digressione asiatica un po’ farraginosa, ma che lascia intatta la forza di un rapporto solido e a suo modo “sentimentale” tra due giovani che cercano, non senza difficoltà, un proprio posto nel mondo e un proprio scopo nella vita. Sorretto dalla bella prova di Luca Marinelli e Alessandro Borghi che tornano a lavorare insieme 7 anni dopo “Non essere cattivo”, il film suggerisce il respiro fraterno della montagna. Il suo rapporto con l’uomo e il desiderio di elevarlo a spiritualità, tra la materialità di attività contadine e casearie e l’aspirazione di diventare scrittore. Una bella storia d’amicizia, più forte nella scrittura che nelle immagini, dove forse scatta poco la scintilla. Voto: 6.

Ultimo aggiornamento: 21:50 © RIPRODUZIONE RISERVATA