«Violentato in Afghanistan, la sua vita è seriamente in pericolo»

Domenica 20 Aprile 2014
UDINE - Aveva appena 17 anni quando, nel suo Paese d'origine, era stato rapito e seviziato per una ventina di giorni da un commando di sei persone, compreso un presunto poliziotto.
Era stato picchiato, stuprato e costretto a subire azioni brutali tutte filmate dai suoi rapitori. Il video delle violenze era stato inviato allo zio del ragazzo, orfano di padre, con la minaccia di diffonderlo a un gruppo di persone che fanno uso di materiale immorale per ottenere un riscatto dalla famiglia della vittima. Ma per la religione musulmana subire quel genere di violenza è un'onta e la famiglia lo ha ripudiato.
Il giovane afgano, ora poco più che maggiorenne, è stato costretto a scappare e a cercare rifugio in Italia, dove il 4 settembre 2013 aveva avanzato richiesta di protezione internazionale alla Commissione territoriale di Gorizia. La Commissione gli ha riconosciuto la protezione umanitaria, ma non lo status di rifugiato. Contro il provvedimento, i legali dell'afgano, gli avvocati Katia Crosilla e Massimo Borgobello, hanno proposto ricorso. «La vicenda è drammatica. La vita del ragazzo è seriamente a rischio. Situazioni come quelle subite da lui possono comportare la lapidazione della vittima - spiegano -. Da qui la necessità di impugnare un provvedimento che, per quanto favorevole, non offre la tutela più adeguata ad una persona che, pur vittima di orrendi soprusi, nel proprio Paese d'origine avrebbe rischiato ulteriori persecuzioni a causa di credenze superstiziose legate al modo locale di intendere la religione». I legali si appigliano a un vizio nella traduzione del racconto della vittima che, per la vergogna di dare voce alla sua storia, ha preferito esprimersi in un inglese incerto piuttosto che nella sua lingua madre, troppo legata alla sua religione.
Elena Viotto