Medico scompare in Libia L'ipotesi di un sequestro

Venerdì 23 Gennaio 2015
Il 6 gennaio scorso Ignazio Scaravilli, chirurgo ortopedico catanese con residenza a Padova da alcune settimane a Tripoli, esce dalla clinica Beit al Wafa, una struttura sanitaria privata situata nel quartiere tripolino di Abu Salim. Per arrivarci si deve percorrere un lungo viale isolato, costellato da edifici in rovina e campi abbandonati. Un medico della struttura racconta, seppur tra mille reticenze, che il medico esce dall'uscita principale per fare una telefonata. Dentro ci sono alcuni pazienti in attesa. Scaravilli scompare nel nulla. È difficile riuscire ad avere altre informazioni. Nessuno vuole parlare. «Quello che avevamo da dire lo abbiamo scritto in un rapporto dettagliato che è stato inviato a tutte le autorità libiche e all'ambasciata italiana», taglia corto il medico, zittito da un altra persona della struttura. La segreteria rimanda al primario del Beit al wafa, che però non «può ricevere nessuno perché è impegnato in riunione». L'ultima informazione che si riesce a strappare è che il telefonino del medico è rimasto acceso per alcuni giorni. Poi il silenzio. Erano due i medici italiani che lavoravano nella clinica, gemellata, pare, con una struttura sanitaria catanese. Gli italiani erano sempre accompagnati nei loro spostamenti da e per l'ospedale da personale di sicurezza interna. Specializzato in interventi alla mano Ignazio Scaravilli era partito prima di Natale con altri colleghi siciliani e forse anche con la moglie. Scaravilli ha uno studio a Paternò, nel Catanese, però riceve saltuariamente anche a Padova, dove ha la residenza. Anche se nella città patavina alcuni conoscenti riferiscono che era almeno un anno che non si faceva vedere. L'ortopedico aveva lavorato a lungo al Cto di via Facciolati, il centro traumatologico pubblico noto come Ospedale Sant'Antonio. Conosciuto in città soprattutto nell'ambiente medico, aveva lavorato per qualche tempo anche al pronto soccorso dell'ospedale di Jesolo, e come consulente in alcune cliniche private del Padovano.
Stretto riserbo da parte della Farnesina, chiesto anche ai familiari del medico che a loro volta sollecitano "il silenzio stampa, tanto tutto quello che si può sapere è già di dominio pubblico", dice un parente dell'uomo rispondendo al citofono di casa a Catania. Una persona tranquilla e cortese, come è stata definita da alcuni vicini. Non è chiaro se l'uomo si sia recato in Libia per volontariato o se per consulenze presso alcune strutture private della capitale. Una città questa che, sotto una patina di normalità, cela però una mancanza di sicurezza diffusa e una criminalità, comune e politica, in costante aumento. La mancanza di stranieri si nota negli alberghi, completamenti vuoti o chiusi, e nei caffè alla moda semideserti, mentre in alcune strade vicino al centro ci si può imbattere oggi in bancarelle che vendono Kalashnikov ben esposti sulle rastrelliere.
Fa tristezza non vedere più uno dei simboli della città, retaggio dell'arte italiana, come la fontana della Gazzella e della Bellezza, realizzata nel 1932 dallo scultore livornese Angiolo Vannetti. Monumento fatto a pezzi da estremisti perché rappresentava nudità femminili. In questa città retta da una coalizione di milizie, quelle di Fajr (Scudo Libico), legate alla città di Misurata e contrapposte all'esercito e alle milizie del generale Khalifa Haftar, la sicurezza è un lontano ricordo. Solo una settimana fa, il 15 gennaio, è stato rapito Samir Salem Kamal, rappresentate della Libia presso l'Opec, mentre sabato scorso due bombe sono esplose davanti alle ambasciate di Arabia saudita e Algeria. L'ambasciata italiana è una delle pochissime ancora aperte in città. Dipendenti ridotti al minimo, nessuna uscita se non per motivi di servizio.
Intanto la tregua concordata per favorire i colloqui tra le parti in lotta che si sta svolgendo a Ginevra è stata rotta dalle milizie di Zintan che hanno attaccato Al Ajaylat. La strada costiera per la Tunisia, a pochi chilometri dai combattimenti, è stata intanto chiusa.
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