La minoranza Pd: ora le riforme con noi

Domenica 1 Febbraio 2015
La pace ritrovata dentro il Pd si ripercuoterà sul cammino delle riforme? Il ”metodo Mattarella” accompagnato dalla semi-rottura con Berlusconi (patto del Nazareno addio?) farà passare all'incasso le minoranze interne del Pd con nuove richieste fino a spingersi a uno stop alle riforme? A sentire il bersaniano Miguel Gotor, colui che ha guidato la secessione al Senato che ha portato 24 senatori dem a non partecipare al voto sull'Italicum, le cose stanno diversamente. Dice Gotor: «Niente rotture, niente scontri, auspichiamo anzi che Berlusconi e Forza Italia non si sottraggano al cammino riformatore». Dopo questa sorta di recupero del patto del Nazareno operato da chi l'ha sempre avversato, un richiamo benevolo a Matteo Renzi: «Invece di andarci addosso, avrebbe dovuto apprezzare che al momento del voto sull'Italicum non abbiamo partecipato invece di votare contro, è stato anche un modo di manifestare il dissenso senza però arrivare alla rottura». Ma nel merito, rispetto alla nuova legge elettorale, che intendete fare come minoranze? Qui Gotor scopre le carte ed emerge la strategia che le minoranze hanno probabilmente già discusso al loro interno e che intendono adottare: non si rinuncia alla richiesta di modifica dei capilista bloccati e delle preferenze. «Sull'Italicum rimane il nodo dei bloccati. Intendiamoci, che un leader voglia portare in Parlamento una quota sua di prescelti è pienamente legittimo, il problema è la proporzione. Noi vorremmo che invece degli attuali 70 bloccati e 30 eletti con le preferenze, il rapporto venga invertito». E se, ove mai la cosa fosse concessa, questo vuol dire che la legge deve poi tornare al Senato (invece di avere l'ok definitivo senza modifiche dalla Camera), Gotor a nome delle minoranze scandisce: «Pazienza, se serve a fare una legge migliore, si torni al Senato. L'importante è che sia il Parlamento a esprimersi».
Quanto alla modifica costituzionale del Senato, «l'impianto va bene, abbiamo superato il nodo che non dev'essere più elettivo, qualche altra modifica e ci siamo». Giri la questione all'altro bersaniano che si occupa di riforme, Alfredo D'Attorre, e la musica rimane la stessa: «FI e Ncd penso che rientreranno, le riforme vanno fatte con loro. Il metodo Mattarella può addirittura rafforzare il percorso riformatore, nel senso che quando il Pd fa proposte credibili si trova un larghissima maggioranza». Per D'Attorre, «Renzi ha fatto sul capo dello Stato quello che gli consigliavamo sulla legge elettorale, ovvero fidarsi di più del Pd». E adesso? L'ex responsabile istituzioni di Bersani ricorre anche lui alla formula delle «modifiche in Parlamento per migliorare le riforme». Una formula che fino a ieri significava non rispettare gli accordi con FI se non superarli o strapparli. Ma adesso? Il premier segretario ha già rivolto un appello al contraente del patto, «scommetto che andremo avanti anche con FI»; ma non è mistero che anche con la nuova maggioranza formatasi su Mattarella si può proseguire sul terreno riformatore. E' un rischio, ovviamente, così facendo ci si consegna ai freni e ai dinieghi di quanti le riforme, Italicum in primis, le vorrebbero con il contagocce, più proporzionaliste, e magari con un Senato di nuovo elettivo. Diceva un esponente di Sel, per scherzo ma fino a un certo punto: «Abbiamo eletto Mattarella con uno schieramento di compagni, ora facciamo le riforme da compagni». Parole da far venire i brividi al premier. Ma nel Pd sanno che Sel di Vendola sull'Italicum è a suo modo della partita: il 3 per cento di soglia ottenuto, soddisfa Nichi il rosso e permette a Sel di presentarsi da sola alle elezioni senza dover pietire posti al Pd o approntare listoni con il medesimo partito.
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