Jobs Act, sindacati e imprese attendono al varco il governo

Lunedì 1 Settembre 2014
ROMA - Riparte la sfida sul lavoro. E l'art.18 torna al centro del confronto. Sarà anche un «totem ideologico» ma la semplificazione dei contratti e la nuova definizione delle tutele dei lavoratori si giocherà tutta proprio sul valore simbolico della modifica all'articolo che regolamenta i licenziamenti. Magari con la proposta dell'arrivo di un contratto unico, a tutele crescenti.
Il Jobs Act per il governo sarà la prossima partita a scacchi da giocare, ben prima di quella della Legge di Stabilità. Già in settimana arriverà un'accelerazione. E non solo perché la commissione Lavoro del Senato ha quasi ultimato l'esame del ddl Delega. Ci sono anche altri due fattori, che si possono definire di contesto. Da una parte preme il nuovo rallentamento dell'economia e il balzo al 12,6% della disoccupazione a luglio; dall'altra aumenta il pressing internazionale a riforme del mercato del lavoro per i Paesi dove più alta è la difficoltà a trovare impiego.
Il dibattito in Italia si è già scaldato, ma potrebbe diventare rovente con la minaccia, già avanzata dai sindacati, di un autunno caldo. «La direzione dovrebbe essere quella del contratto unico che sia conveniente per imprese e lavoratori», ha detto il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi. Ma la richiesta di Confindustria richiede una «semplificazione» sul numero dei contratti e non anche il meccanismo delle tutele crescenti.
Anche il presidente della Bce, Mario Draghi ha fornito la sua ricetta. Ovviamente parlando dell'Europa e non guardando solo all'Italia. A Jackson Hole il messaggio che ha conquistato il titolo di prima pagina riguardava la flessibilità sui conti. Ma l'intervento era centrato sull'occupazione. E Draghi ha chiesto misure che: consentano una rapida riallocazione dei lavoratori riducendo il periodo di disoccupazione; permettano una maggiore differenziazione salariale avvicinando i 'contratti' al territorio e alle diverse aziende; riducano le rigidità del mercato; favoriscano una maggiore qualità della forza lavoro, attraverso l'istruzione prima e la formazione continua dopo.
Sono tutti temi contenuti nel Jobs Act che, dopo la pausa estiva - resa obbligatoria dal dibattito in aula a Palazzo Madama per le votazioni sulla riforma del Senato - sarà esaminato dalla commissione Lavoro a partire da mercoledì. Certo l'attenzione si concentrerà sull'art.18. Ncd e Scelta Civica sono pronte ad alzare il vessillo delle modifiche. A loro il premier Matteo Renzi ha risposto: «inutile discuterlo adesso», si tratta di un «totem ideologico». Ma il totem ha talvolta due facce, tanto che lo stesso esempio è stato usato dal ministro Ncd, Maurizio Lupi: «è un totem, sarebbe meglio cambiarlo».
Di fatto l'art.18 è poco utilizzato in Italia. Alcuni studi hanno rivelato che ogni anno riguarda solo qualche migliaia di casi di cause di lavoro. Dopo la battaglia Cgil, con la quale Sergio Cofferati riuscì a portare i piazza 3 milioni di manifestanti, la norma è stata anche modificata, con la riforma Fornero che ha cancellato il reintegro automatico in alcuni casi, prevedendo indennità risarcitoria per licenziamenti per motivi economici e restringendo le possibilità del giudice se i contratti collettivi non prevedono il reintegro anche in caso di licenziamenti disciplinari per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo.
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