Da mezzo mondo per vedere
e studiare le dighe mobili del Mose

Giovedì 18 Settembre 2014 di Tiziano Graziottin
Da mezzo mondo per vedere e studiare le dighe mobili del Mose
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VENEZIA - Arrivano da mezzo mondo per scoprire il sistema con cui l’Italia ha progettato e realizzato la "difesa" di Venezia: in questi giorni delegazioni dal Marocco, dall’Indonesia, dalla Cina, dal Quatar, dell’Unione Europea stanno approdando sui cantieri per vedere l’opera e per farsi spiegare dai tecnici il funzionamento delle dighe mobili.

«Il progetto del secolo», ha esclamato mercoledì il ministro del commercio estero del Marocco Mohamed Abbou al termine del tour tra cassoni e barriere, e pur enfatica l’espressione rende bene l’ammirazione degli stranieri per l’italica opera. Noi incrociamo le dita («speriamo che funzioni, dopo quello che è costato» è il pensiero ricorrente), loro - rappresentanti di governi e businessman di mezzo mondo - intanto accorrono per capire se quel che ha realizzato l’Italia può essere "importato" nei loro Paesi per fronteggiare emergenze legate ad alte maree, subsidenza delle coste e altre problematiche collegate al complesso interagire di terra e mare. La delegazione indonesiana, per dire, ieri ha visitato i cantieri perchè a Giacarta vogliono realizzare - con un intervento miliardario - una sorta di laguna artificiale (con tre bocche di porto, guarda il caso) sia per difendere il waterfront sia per costruire davanti all’attuale metropoli una città satellite. E non è un mistero che anche da New York si stia guardando con attenzione l’esperienza veneziana per coglierne le possibilità di replica.

«Sì, abbiamo tante richieste per vedere l’opera - osserva Fabris, presidente del Consorzio Venezia Nuova - e questi sono giorni particolarmente intensi perchè se un visitatore vuol capire la complessità e la monumentalità dell’opera, oggi ne ha davvero la percezione, un domani chissà».

Da metà ottobre in poi il Mose sarà infatti "invisibile", con i suoi cassoni enormi da 22mila tonnellate (il primo "miracolo" è stato mettere in acqua con margine di errore millimetrico queste strutture alte e pesanti come un condominio) e le sue barriere. Gli addetti ai lavori, ingegneri e tecnici, sono convinti che funzionerà non in base a calcoli astrologici ma alla fredda legge dei numeri, e con pazienza cercano di spiegarti perchè.

In attesa che i fatti confermino quel che per loro è acclarato, l’altra convinzione che palesano tutti coloro che lavorano nei cantieri è che una volta in funzione il Mose riporterà l’ingegneria italiana al primo posto del mondo. «Non solo - spiega Fabris - ma si tradurrà anche in una occasione di business, il Mose potrà almeno in parte ripagare l’Italia dei costi affrontati. Gli italiani con quest’opera hanno dimostrato di saper coniugare la difesa idraulica di una realtà unica come Venezia con la salvaguardia dell’ambiente e col rispetto del rapporto tra terraferma, laguna e mare. Mose significa anche 1.600 ettari di barene ricostruite, 40 chilometri di canali industriali messi in sicurezza, ecc. Sarebbe utile che anche il Governo prendesse atto che questa è un’opera da promuovere nel mondo: un conto è tirar su una diga come hanno fatto tanti, un altro è realizzare un intervento così complesso. E unico: ci siamo riusciti solo noi italiani».

Fabris non lo dice ma un pensiero corre sottotraccia tra molti addetti ai lavori del Mose: la vicenda delle tangenti ha reso "complicato" il rapporto con l’opera (da parte dei politici, in primis) e nessuno, oggi, vuol più metterci la faccia.

Domani, se e quando il Mose funzionerà davvero, probabilmente sarà un’altra storia.
Ultimo aggiornamento: 19 Settembre, 07:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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