Stipendi "pubblici", sì ai limiti
ma attenti ai valori di mercato

Martedì 22 Aprile 2014
Caro direttore,

quello di mettere un tetto agli emolumenti di tutti i dirigenti pubblici, magistrati compresi, va considerato il primo atto veramente innovativo del governo Renzi. E va detto che tale atteggiamento va oltre le più la rosee previsioni in fatto di riforme. Il perchè è presto detto: fra i tre poteri dello Stato quello giudiziario viene considerato inequivocabilmente il più forte, finchè esso può interferire a piacimento sull'operato di esecutivo e legislativo.



Renzi, coraggiosamente, ci sta provando, adducendo motivi costituzionalmente validi, quali la "non interferenza" fra le parti, ognuna in piena autonomia nello svolgimento dei propri compiti e responsabilità istituzionali. Si sta forse delineando all'orizzonte, non solo in fatto di privilegi, uno scontro fra Davide e Golia, senza che risulti poi cosí facile prendere posizione a favore dell'uno o dell'altro.




Aldo Martorano



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Caro lettore,

non vedo nessuno scandalo né alcuna controindicazione al fatto di mettere un tetto agli stipendi dei dirigenti pubblici. Anzi, per certi aspetti, mi sembra quasi un atto dovuto considerati i livelli assolutamente spropositati raggiunti dalle remunerazioni di alcuni grand commis di Stato. Ma, come sempre succede, non si può fare di tutta un'erba un fascio. Gli stipendi e i percorsi di carriera della gran parte dei dirigenti pubblici (statali, regionali, comunali) sono quasi sempre determinati non sulla base di risultati o di logiche di mercato, ma prevalentemente in base all'anzianità o a logiche di appartenenza.



Inoltre, a differenza dei manager privati, gli alti papaveri della pubblica amministrazione, dai capi di gabinetto ministeriali fino ai magistrati di più alto grado, sono praticamente illicenziabili. È evidente che tutte queste garanzie (carriera determinata dall'anzianità, tutela del posto di lavoro, etc) debbano essere controbilanciate da politiche salariali diverse da quelle del settore privato e possano anche essere previsti tetti massimi di stipendio per i livelli di dirigenza più elevati. Diverso invece il caso dei capi azienda (cioè gli amministratori delegati e i principali manager) di gruppi a partecipazione pubblica quotati in Borsa (Eni, Enel, Finmeccanica, etc) e costretti a misurarsi con la concorrenza internazionale.



Anche in questi casi è giusto fissare dei limiti (cosa che negli ultimi anni non è sempre avvenuta), ma occorre anche tener conto dei valori di mercato. Perché, in caso contrario, i manager più abili non accetterebbero mai di assumere la guida di questi gruppi che, per le loro dimensioni e la loro attività, hanno un ruolo fondamentale per il sistema Paese.
Ultimo aggiornamento: 13:16

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