Io, Venezia, e i turisti
cambiati nel tempo

Lunedì 18 Agosto 2014
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Sono nato in un palazzo di un doge e ho vissuto per la maggior parte della mia vita in una casa grande con due terrazze fronte bacino, i miei erano tutt’altro che ricchi e quelle le hanno avute perché in quei anni, anni ’60, a disposizione erano quelle, comprate per una pipa di tabacco. Nulla più.

I miei da sempre hanno avuto la bancarella sotto i portici del palazzo ducale come prima i miei nonni e adesso io e il piccolo Stefano, invece di giocare in campo come i suoi coetanei, giocava nel cortile del palazzo.

In quei anni c’era la Venezia vera che tanto viene decantata oggi. A me faceva paura, ero timidissimo e mi facevano paura i ragazzi “cattivi”, la via Garibaldi popolata all’inverosimile da vocianti venditori di frutta, verdura e pesce, dai bambini che ti sfidavano con gli occhi se non eri della loro banda, dai giochi col tacco e figurine, dalla puzza di vino bianco nelle osterie che l’unica cosa concessa al bambino era un biscotto che sapeva da pepe, dalla puzza di fumo vecchio.

Dall’altra parte in Piazza vedevo solo turisti gentili che ti sorridevano solo per il fatto che eri un bambino. Americani e inglesi vestiti bene. Li invidiavo, invidiavo i loro bambini così rispettosi e così diversi dai piccoli veneziani tutto corri corri. Nessun straniero era “cattivo”, erano tutti composti, tutti in punta di piedi e gentili. Gli unici foresti che non piacevano molto erano quelli del Sud italia, troppo simili a noi di via Garibaldi. Mamme che sgridavano i bambini, che gli tiravano i capelli se non stavano fermi, pianti e grida, grassi e unti o troppo magri e rugosi. Non c’era nessun buonismo né razzismo in tutto questo, questi sono termini inventati dopo. Vedevamo questi che gridavano e li sentivamo possibili “invasori” della nostra Venezia. Padroni a casa nostra. Se uno viene a casa tua e comincia a gridare, ad alzare la voce, non è il benvenuto, se invece uno entra col sorriso e con rispetto è un’altra cosa.

Vedevo questi foresti americani che assomigliavano troppo agli americani dei film, li osservavo a bocca aperta e mi immaginavo io con la bandiera stelle e strisce nel Dakota, vestito come un cowboy, come un Ranger, come un qualsiasi eroe. Dopo gli americani c’erano, ma tutti sotto il gradino, gli inglesi, i perfetti tedeschi coi sandali marron di cui avevi paura perché in guerra erano molto cattivi e tutti noi bambini li imitavamo gridando Saiser! come fosse un comando hitleriano inizio guerra. I francesi erano tutti gay (provate ad imitare un gay tedesco e un gay francese).

Noi nati negli anni ’60 avevamo questo e questo è stato gettato nel cervello di ognuno. Ho sempre pensato che se non ci fossero stati i film americani in cui si vedevano gli attori fumare, non esisterebbero italiani col cancro ai polmoni. Mangiavo spinaci perché c’era braccio di ferro, l’olio Sasso per paura della pancia, sorridevo al Moplen.

Venezia adesso è diversa, non ha perso l’identità, è al passo coi tempi, se così si può dire. La gente è povera perché il consumismo ti mette in condizione di farti credere che se non hai lo smartphone e 3 tv (e 3 bagni) non stai bene. Chi coltiva un pezzetto di terra di 100mq viene visto come geniale, biologico, uomo da sposare. Oggi viene considerato diverso chi fa una cosa naturale.

A Venezia vengono tutti e tutti gridano per farsi sentire. Mi viene in mente una scena vista dall’alto di una nave ai Caraibi. Era l’alba e stavo godendomi da solo il sole alzarsi dal mare dentro un porto dove l’unica imbarcazione era proprio la nave. Passa una barca grande come una sanpierota con un piccolo motore. Passava lenta in questo bacino liscio come l’olio. Notavo la scia: due linee che si formavano e si allargavano man mano che l’imbarcazione avanzava. Pensavo la poesia che usciva da tutto questo teatrino, poi ho pensato che se una barca anche andando piano lascia quella romantica scia si scontra con una barca che va nella direzione opposta tutto si rompe, se poi passa una idroambulanza, un motoscafo, una barca della Veritas locale, quella dei gelati, merce, il gommone, mezzi di trasporto…nasce il caos. E così pure quanto a frotte arrivano 30 milioni di turisti, tutti con le loro ovvie pretese e voglia di comodità.

Il turismo è cambiato, è cambiata la testa della gente. I turisti che tanto ammiravo non ci sono più, non c’é più l’americano figo, adesso c’é l’americano con la bottiglia mezza piena d’acqua presa dalla fontana per risparmiare, il tedesco domanda lo sconto come neanche lo domandavano i marocchini anni fa, il francese ha il pancione da birra, il veneziano è antipatico.

Ho smesso a lavorare in piazza. Da un anno e mezzo la evito, la odio, odio la gente, odio la confusione anche se con la confusione ci ho convissuto (e mangiato) per quasi 54 anni, preferisco passare “per le sconte”, passare da chi conosco e fare una ciacolata scappando a testa bassa e cuffie in testa quando incontro una mandria di foresti. In vaporetto mi sembra di essere quando ti fai quell’odiosa doccia fredda prima di entrare in piscina: trattieni un attimo il fiato per poi uscire e respirare.

Chissà se il contatore che ho messo a San Bortolomio vada su o vada giù. Non penso di essere l’unico ad essere stanco.

PIEMME

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